🔴 ‘Valle Salvaje’ Capitolo 292: Vittoria contro Dámaso: “¿Gaspar era mi hijo?”

Un Rivelazione Devastante Scuote le Fondamenta del Palazzo Salcedo de la Cruz: Il Passato Torna a Presentarsi con Forza Inaudita

La provincia di Valle Salvaje si prepara a un lunedì 10 novembre che promette di riscrivere la storia, un giorno marchiato da segreti inconfessabili e verità destinate a esplodere. Nel capitolo 292 della sua attesissima telenovela, “Valle Salvaje” scatena una bomba narrativa che lascerà il pubblico con il fiato sospeso: Dámaso, l’enigmatico ritorno, lancia una domanda che gela il sangue a Vittoria Salcedo de la Cruz, una domanda che rischia di far implodere l’intera dinastia. Il tutto si condensa in un sibilo carico di pericolo: “¿Gaspar era mi hijo?”. Mio figlio.

Mentre Adriana, consumata dall’urgenza, lotta disperatamente per scagionare sua sorella Luisa e svelare il mistero che avvolge la lettera di Isabel, Dámaso inizia a ricomporre i frammenti di un passato che credeva sepolto per sempre. Le alleanze si sgretolano, le manipolazioni di José Luis tessono una tela sempre più fitta, e i segreti, come spettri in agguato tra le ombre del lussuoso palazzo, riemergono con una forza inarrestabile. La settimana che si apre è decisiva, un crocevia fatale segnato dalla colpa, dalla ricerca della verità e da un amore che, forse, non è mai del tutto morto, ma solo sopito tra le macerie del tempo.


L’Aria Opprimente della Prigione: Luisa, il Sacrificio e la Rabbia di Adriana

L’atmosfera nel locutorio della prigione era un sudario umido e gelido, saturo di disperazione e dell’odore acre di disinfettante a buon mercato. Ogni parola, rimbalzando sulle mura di pietra, moriva sul pavimento piastrellato e in frantumi. Adriana, il volto pallido e distorto dal vetro spesso e graffiato, osservava sua sorella Luisa dall’altra parte, un riflesso spettrale della propria angoscia.

“Non puoi fare questo, Luisa,” implorò Adriana, stringendo l’auricolare del telefono con una forza tale da far sbiancare le nocche. “Non puoi prenderti la colpa per qualcosa che non hai fatto. È una follia.”


Luisa, dall’altro lato, appariva come una versione appassita di sé stessa. I suoi occhi, un tempo vivi e luminosi, ora erano spenti, incavati da ombre di stanchezza e terrore. Ma una rigida determinazione, quella di un martire, irrigidiva la sua postura, un atteggiamento che gelava il sangue di Adriana. “È già fatto, Adriana,” sussurrò Luisa, la voce appena udibile. “Ho firmato la confessione.”

“È per il meglio. La statuetta, l’ho rubata io. Fine della storia.”

“Non è la fine!” gridò Adriana, colpendo il vetro con il palmo della mano, attirando lo sguardo severo di un secondino. Abbassando la voce a un sibilo disperato, continuò: “Perché? Perché ci fai questo? Per il Duca? Per proteggerlo? Lui non ti proteggerà. Ti lascerà marcire qui.”


Luisa chiuse gli occhi. Proteggere José Luis era solo una parte dell’equazione. L’altra era il terrore. Il terrore di ciò che Vittoria Salcedo de la Cruz era capace di fare. “Non capisci, sorella. Ci sono cose che è meglio lasciare in pace. Per favore, torna a casa, prenditi cura di Peppa. Dimenticati di me.”

“Non mi dimenticherò di te,” sussurrò Adriana, le lacrime che le bruciavano gli occhi. “E non ti lascerò sacrificarti.”

Non questa volta. La visita terminò. La guardia si avvicinò a Luisa, che si alzò senza degnare la sorella di un altro sguardo. Adriana rimase sola, stringendo il telefono ormai muto, l’eco della bugia di Luisa che le risuonava nelle orecchie come una sentenza di morte.


Alejo, la Verità Rivelata e la Calma Pericolosa

Uscita dalla prigione, l’aria fresca del valle la colpì come uno schiaffo, ma non riuscì a dissipare il gelo che le si era insinuato nelle ossa. Doveva parlare con Alejo. Lui meritava di sapere la verità. Lo trovò nella biblioteca del palazzo, un luogo che all’improvviso le parve opprimente e falso. Ogni libro rilegato in pelle, ogni mobile lucidato, sembrava parte di una farsa. Adriana gli narrò la conversazione, l’insistenza di Luisa, la confessione firmata.

Inizialmente, Alejo provò solo confusione. “Non ha senso. Perché dovrebbe confessare un furto che non ha commesso? La statuetta è preziosa, sì, ma non a tal punto da giustificare questo.”


“Non è per la statuetta, Alejo,” disse Adriana, la voce tremante di rabbia contenuta. “È per lui. È per tuo padre.”

Alejo si irrigidì. “Mio padre? Cosa c’entra lui in tutto questo?”

Luisa gli aveva raccontato tutto, e così Adriana gli svelò la verità completa, la magnitudine dell’inganno ordito attorno all’arresto. Non si trattava di un semplice furto, ma di un vero e proprio montaggio, una trappola architettata da Vittoria, eseguita con la tacita complicità di José Luis, per eliminare Luisa dalla scena. La statuetta era solo il pretesto. L’esca. Luisa era caduta, e ora, per una lealtà malata o puro terrore, si stava immolando.


Mentre Adriana parlava, la confusione di Alejo iniziò a trasformarsi. Fu un cambiamento lento, quasi impercettibile all’inizio, come il ghiaccio che si forma su uno stagno. Il calore nei suoi occhi svanì, sostituito da una comprensione fredda e affilata. L’inganno non era solo contro Luisa, era contro di lui. Avevano usato il suo nome, la sua posizione, e ora stavano distruggendo la donna per cui cominciava a provare un sentimento profondo.

“Capisco,” disse finalmente Alejo. La sua voce era così calma che spaventò Adriana. Nessun urlo, nessuna furia esplosiva, solo una calma pericolosa. “Capisco la portata dell’inganno.” Si alzò e si avvicinò alla finestra, osservando i terreni che un giorno sarebbero stati suoi. “Hanno sottovalutato Luisa, e hanno sottovalutato me.”

Vittoria Sotto Assedio: Mercedes, José Luis e l’Ombra Minacciosa di Damaso


Nel frattempo, in un’altra ala del palazzo, Vittoria Salcedo de la Cruz sentiva le mura chiudersi su di sé. L’incontro con Mercedes l’aveva lasciata tremante. Quella donna insignificante, quell’ex serva, aveva osato guardarla con… pietà? O con conoscenza? Mercedes sapeva troppo sul passato, su Pilar, sulle fondamenta marce su cui si ergeva la fortuna Salcedo.

Vittoria si versò un cognac, le mani tremanti tanto che il liquido ambrato quasi sfuggì dalla coppa. Aveva bisogno di José Luis. Lui sapeva sempre cosa fare, come ancorarla. Lo trovò nel suo studio, intento a revisionare i libri contabili come se il mondo non stesse bruciando intorno a lui.

“José Luis!” esclamò lei, la voce più acuta di quanto intendesse. “Quella donna, Mercedes… è tornata. Mi ha parlato, chiedeva di… di cose.”


José Luis alzò lentamente lo sguardo, i suoi occhi grigi che la valutavano con freddezza clinica. Appoggiò la penna sulla scrivania. “Vittoria, calmati. Sei isterica. Che tipo di cose?”

“Cose del passato, di Pilar. Non so cosa cerchi, ma la sua presenza qui è un pericolo.”

José Luis sospirò, un suono di impazienza appena dissimulata. Si alzò e le tolse la coppa di mano. “Stai permettendo a una serva decaduta di destabilizzarti. Mercedes non è un problema. È una zanzara fastidiosa, sì, ma innocua. Non ha potere, non ha influenza. Poche monete e tornerà nel buco da cui è uscita.”


“Ma… ma…”

“Niente, Vittoria,” lo interruppe lui, la voce che si induriva. “Stai concentrando la tua paura nella direzione sbagliata. Il vero pericolo non è Mercedes. Il vero pericolo dorme sotto il nostro tetto, mangia alla nostra tavola, respira la nostra aria.”

Vittoria lo guardò, la mente febbrile che cercava di seguirlo. “Di cosa parli?”


“Parlo di Damaso,” disse José Luis, e il nome sembrò abbassare la temperatura della stanza. “Lui è il pericolo. È tornato, sta facendo domande. Sta smuovendo il passato in un modo che Mercedes nemmeno sognerebbe. Lui è il lupo, e tu sei preoccupata per la zanzara.”

Le parole di José Luis la colpirono con la forza di una rivelazione. Aveva ragione. Il terrore che provava per Mercedes era un’eco del passato. Ma Damaso… Damaso era una minaccia presente, tangibile.

“Cosa facciamo?” sussurrò lei.


“Tu niente,” replicò lui. “Tu ti calmi e mantieni le apparenze. Mi occuperò io di reindirizzare la sua attenzione.” Fece una pausa. “E tu ti occuperai di Damaso.”

La Lettera di Isabel: Eredità di Giustizia e Addii Dolorosi

Ma la conversazione fu interrotta, e la notte portò con sé un’altra bomba. Più tardi, esausta e spaventata, Adriana tornò nelle sue stanze. Sul letto, piegata con cura, c’era una busta. Riconobbe subito la calligrafia elegante e inclinata. Isabel. Con mani tremanti, Adriana ruppe il sigillo. La grande rivelazione del giorno doveva ancora arrivare.


Il lunedì 10 novembre albeggiò sulla valle con una luce grigia e pallida, un presagio della tempesta in arrivo. Era l’inizio di una settimana chiave, e l’aria stessa sembrava carica di confessioni non dette e alleanze forgiate nella disperazione. Per Adriana, la mattinata iniziò rileggendo la lettera di Isabel. Ogni parola era un colpo, un altro pezzo del cupo puzzle del passato di Valle Salvaje.

“Mia cara Adriana,” cominciava la lettera. “Quando leggerai questo, io sarò già lontana. Non cercare di trovarmi, poiché non ho intenzione di tornare. Non posso più vivere sotto il peso della mia coscienza, né sotto il tetto di coloro a cui ho contribuito a fare del male.” Adriana aggrottò le sopracciglia. Fare del male? “Per anni sono stata complice silenziosa delle ingiustizie perpetrate dalla famiglia Salcedo de la Cruz. La mia lealtà al defunto Duca e la mia codardia mi hanno messo a tacere. Il danno che ho causato, diretta o indirettamente, alla tua famiglia e ad altre è irreparabile. Ho visto come hanno strappato tutto a tuo padre. Ho visto come hanno manipolato la verità sulla morte di Pilar. E non ho detto nulla.” Il cuore di Adriana batteva all’impazzata. Isabel lo sapeva tutto. “La mia partenza è la mia unica forma di penitenza. Non posso annullare il male, ma posso smettere di esserne parte. Lascio a te, Adriana, che hai la forza che a me è mancata, il compito di cercare giustizia. Prenditi cura di Pedrito. Digli che lo amerò sempre, ma che questo valle non è più un posto per me. Addio, bambina mia. Sii coraggiosa, Isabel.”

La lettera era una confessione e un addio. Isabel se n’era andata. Definitivamente. La notizia della sua partenza piombò come un macigno nel palazzo. Atanasio, l’efficiente segretario del Duca, era più irritato dall’inconveniente che dalla partenza in sé. “Inaudito,” mormorava nel suo studio, esaminando una pila di carte. “Andarsene così senza preavviso. E chi si occuperà ora degli archivi del Duca? Chi conosce le sue routine?” Investigò discretamente le ragioni. Un cocchiere gli disse di averla portata alla stazione ferroviaria all’alba con una sola valigia. Non sembrava intenzionata a tornare. Atanasio sospirò rassegnato. La sua lealtà era verso il Duca, e il Duca aveva bisogno di una nuova governante, o almeno di una nuova archivista. Con un grugnito di fastidio, Atanasio iniziò a redigere un annuncio per il giornale della capitale. La macchina del palazzo non poteva fermarsi per una donna con una crisi di coscienza.


Unire le Forze: La Ricerca di Tomás e l’Inizio della Guerra Fredda

Per Adriana e Alejo, la lettera di Isabel era un catalizzatore. Si riunirono nelle scuderie, lontano da orecchie indiscrete. “Sapeva tutto, Alejo, tutto, e se n’è andata,” disse Adriana, agitando la lettera. “Questo complica le cose,” ammise Alejo. “Isabel avrebbe potuto testimoniare, avrebbe potuto fare luce sui metodi di mia matrigna. Ma ci dà anche una via,” insistette Adriana. “Se Luisa è in prigione per un montaggio di Vittoria, e Isabel conferma che Vittoria è capace di fare del male, dobbiamo trovare qualcun altro che lo sappia.”

“Ma chi?” chiese Alejo. “La maggior parte della gente in questo valle deve lealtà a mio padre, o teme Vittoria.” Si guardarono, la stessa idea che si formava nelle loro menti contemporaneamente. C’era solo una persona che era stata al centro dell’uragano del furto, che era stata manipolata e scartata, e che non aveva più nulla da perdere.


“Tomás,” dissero all’unisono. La corsa contro il tempo era iniziata. Dovevano trovare Tomás prima che la macchina legale schiacciasse definitivamente Luisa. Dovevano convincerlo a dire la verità: che era stato coartato a rubare la statuetta, e che Luisa aveva solo cercato di aiutarlo. La sua testimonianza era l’unica chiave per aprire la cella di Luisa.

I Dolori e le Nuove Resistenze: Matilde, Peppa e la Fiammata di Vendetta

La tensione nel palazzo era così densa che si poteva tagliare col coltello. Vittoria, seguendo il consiglio di José Luis di ignorare Mercedes e concentrarsi su Damaso, sentiva il bisogno di riaffermare il suo potere, e trovò l’obiettivo più facile. Matilde la trovò nella sartoria, a rammendare un lenzuolo. La partenza di Martín aveva lasciato Matilde in uno stato di profonda malinconia, un’ombra di sé stessa.


“Buongiorno, Matilde,” disse Vittoria, la sua voce gocciolante una falsa dolcezza più crudele di un insulto diretto. “Che laboriosa sei! Immagino che con tutto questo tempo libero ora si debba rimanere occupate. La solitudine può essere devastante.”

Matilde strinse l’ago, ma non alzò lo sguardo. “Faccio il mio lavoro, Duchessa.”

“Oh, certo, il tuo lavoro. Dimmi, ci sono notizie di Martín? Immagino di no. Uomini come lui, beh, trovano distrazioni nuove facilmente. Sei rimasta sola, Matilde, sola in questo palazzo, sola nel mondo. Un monito vivente di ciò che accade quando una serva aspira a di più.” Ogni parola era uno spillo che si conficcava nella pelle di Matilde. Sentì le lacrime di umiliazione salire, ma si rifiutò di dare a Vittoria quella soddisfazione.


Più tardi, Bárbara la trovò che piangeva nella lavanderia. “Cosa ti ha fatto quella strega adesso?” chiese Bárbara, il suo tono protettivo. Matilde le raccontò la conversazione, le parole velenose di Vittoria. “Ha ragione, sono sola. Matilde è sola. Martín se n’è andato.”

“Basta!” la interruppe Bárbara, afferrandola per le spalle. “Non la lascerai distruggerti. Martín ti ama e tornerà. Ma finché non c’è, non puoi crollare. Vuoi lasciarti calpestare? Vuoi essere il suo zerbino? Tu non sei Matilde, tu sei forte. La prossima volta che ti parla così, alza la testa, guardala negli occhi e dimostrale che non ti ha spezzata.” Le parole di Bárbara furono un balsamo e uno sprone. Matilde si asciugò le lacrime. L’impulso che le serviva per affrontare la situazione era stato seminato.

Il dolore e la verità si diffondevano come una macchia d’olio per il valle. Peppa, con il cuore spezzato per la partenza di Martín, cercava disperatamente notizie di sua sorella Luisa. La versione ufficiale del furto non le quadrava. Conosceva Luisa. Sapeva che era impulsiva, ma non una ladra. Trovò Adriana in giardino.


“Adriana, guardami,” Adriana, esausta dalla ricerca di Tomás, alzò lo sguardo. “Voglio la verità,” pretese Peppa, la voce bassa e tremante di dolore. “Non mentirmi più. Ho già perso Martín. Non trattarmi come una bambina. Cosa sta succedendo veramente a Luisa?”

Adriana guardò sua sorella, vide il dolore dell’assenza di Martín mescolato al terrore per Luisa. Non poteva più nasconderlo. La verità, per quanto orribile, era l’unica cosa che rimaneva loro. “Va bene, Peppa,” sospirò Adriana. “Ti racconterò tutto, ma non è facile.” E lì, tra le rose morenti dell’autunno, Adriana le parlò della reale situazione di Luisa. Le parlò del montaggio, della confessione forzata, del sacrificio inutile. Le parlò di Vittoria Salcedo de la Cruz. Peppa ascoltò, il volto che impallidiva, il suo dolore che si trasformava in una rabbia fredda e profonda. La tragedia di sua sorella si sommava alla sua solitudine, creando un fardello quasi insopportabile.

Spezzata, Peppa cercò l’unico conforto stabile che le rimaneva. Trovò Francisco nel laboratorio, che lavorava il legno con movimenti ritmici e sicuri. Vedendolo, la compostezza che aveva mantenuto di fronte ad Adriana si ruppe. Francisco sobbalzò e le si avvicinò, le sue mani grandi e callose che pulivano la segatura dal suo grembiule. “Cosa succede, Peppa?”


“È Martín. È Martín, ed è Luisa. Ed è questo maledetto valle,” singhiozzò lei, crollando contro il suo petto forte. “Martín se n’è andato, e Luisa l’hanno messa in prigione. Dicono che è una ladra, ma è una bugia, Francisco. È una bugia della Duchessa.” Francisco la circondò con le braccia, lasciandola piangere. Non era un uomo di molte parole, ma la sua presenza era un’ancora. “Shhh. Tranquilla, ragazza, piangi. Tira fuori tutto quello che hai. Ci sono io qui, ci sono io.”

E mentre Peppa cercava conforto in Francisco, Matilde, infusa del coraggio che le aveva dato Bárbara, cercava un alleato inaspettato. Vide Atanasio uscire dallo studio del Duca. “Signor Atanasio,” lo chiamò. Lui si girò sorpreso. “Matilde, cosa desidera?” Matilde deglutì. “Ho bisogno di parlarle. Riguarda la Duchessa. Il modo in cui mi tratta.” Atanasio inarcò un sopracciglio, a disagio. Non gli piacevano i drammi del servizio. “Per favore,” insistette Matilde. “So che lei è un uomo giusto. Mi sta isolando. Mi sta rendendo la vita impossibile. Temo che cercherà di cacciarmi dal palazzo ora che Martín non c’è più.”

Atanasio la osservò, vide il genuino terrore nei suoi occhi, ma anche una nuova determinazione. Forse fu la menzione di Isabel e la sua improvvisa partenza, o forse fu la flagrante crudeltà di Vittoria, ma sentì una fitta di simpatia. “Capisco. Non posso promettere nulla, Matilde, ma sarò vigile. La Duchessa non deve eccedere le sue prerogative.” Era poco, ma era qualcosa. Matilde sentì che per la prima volta non era completamente sola in quel nido di vipere.


Damaso, il Fantasma del Passato e la Bomba a Scienza Ritardata

Damaso, nel frattempo, si muoveva per il palazzo come un’ombra paziente, un fantasma del passato con uno scopo molto presente. Non faceva movimenti bruschi. Invece, tesseva una rete di conversazioni casuali, ognuna progettata per estrarre un frammento di informazione. Incontrò Rafael nei giardini, dove il giovane giardiniere si prendeva cura di un roseto. “Bellissimi fiori,” commentò Damaso, la sua voce morbida. “Danno lavoro,” rispose Rafael, diffidente. “Il duro lavoro tiene la mente occupata,” disse Damaso. “Mi ricorda i vecchi tempi. Io lavoravo qui, sapete? Molto prima che nascessi. Su questa stessa terra.” Rafael alzò lo sguardo, interessato. “Oh, sì,” sorrise Damaso, un sorriso che non raggiungeva i suoi occhi. “Conoscevo bene l’antico Duca e conoscevo José Luis. Eravamo vicini, in un certo senso. Tempi complicati, pieni di intrighi.” Damaso osservò il volto di Rafael. “Sì, intrighi che mi obbligarono a lasciare il valle molti anni fa. Non si dimentica mai la terra dove si è nati, ma a volte la terra stessa ti espelle.” Piantò il seme e si allontanò, lasciando Rafael pensieroso, interrogando la lealtà assoluta che provava per l’uomo che lo aveva cresciuto.

La lettera di Isabel ebbe anche un effetto più delicato. Adriana, sentendo il peso della partenza di Laya, decise che Pedrito meritava una spiegazione, anche se edulcorata. Lo trovò che giocava vicino allo stagno. “Pedrito,” disse dolcemente. “Devo parlarti di Isabel.” Il bambino alzò lo sguardo, gli occhi grandi e attenti. “Isabel ha dovuto partire,” cominciò Adriana. “Lontano, per un viaggio molto lungo. Tornerà.” Adriana esitò. “Non credo, tesoro, ma mi ha lasciato questa lettera e in essa mi dice che ti vuole molto bene, che si ricorderà sempre di te. Ci ha lasciato un’eredità, Pedrito. Ci ha insegnato ad essere forti e a dire la verità, anche quando è difficile.” Era una semplificazione, ma era ciò che il bambino aveva bisogno di sentire. Parlarono dell’eredità di colei che era stata sua per tanti anni, un momento di calma e riflessione nel mezzo del caos.


Ma la calma di Damaso era solo una facciata. La sua mossa successiva fu molto più diretta. Cercò Mercedes. La trovò nella piazza del paese a fare la spesa. “Mercedes.” Che gioia rivederti dopo tanti anni,” disse, la sua voce che echeggiava di una finta cordialità che a lei gelava il sangue. Damaso la riconobbe, nervosa, stringendo il suo cesto. “Ho pensato molto al passato da quando sono tornato,” continuò lui, camminando al suo fianco, obbligandola ad ascoltarlo. “Molto ai vecchi tempi e molto a Pilar.” Mercedes inciampò. “Pilar, sì, la nostra cara Pilar. La sua morte fu una tragedia, così improvvisa, così conveniente per alcuni.” Si fermò e la guardò dritto negli occhi, i suoi occhi scuri che la penetravano. “Mi sono interessato ai dettagli della sua morte. Eri la sua amica più intima, vero? Eri con lei negli ultimi giorni. Cerco risposte, Mercedes, e credo che tu le abbia. Dirai la verità a un vecchio amico?”

Mercedes era pallida come un fantasma. L’uomo che l’aveva terrorizzata nel palazzo ora la stava mettendo all’angolo in paese. Quale verità poteva dirle che non mettesse a rischio lei o lui in una tomba? Il gioco della manipolazione si giocava su tutti i fronti.

La Mossa di José Luis: Seme di Dubbio e la Trappola Dorata di Vittoria


José Luis, consapevole che Alejo e Adriana stavano indagando, decise di prendere l’iniziativa. Affrontò Alejo nello studio, adottando il tono di un padre preoccupato e saggio. “Alejo, figlio, sono felice che tu sia qui. Volevo parlarti di questa sfortunata situazione con la signorina Luisa.” Alejo si irrigidì. “Cosa c’è da dire? È in prigione per qualcosa che non ha fatto.”

José Luis alzò una mano. Conciliante. “Capisco il tuo affetto per lei. È una giovane attraente. Ma devi capire, Alejo. Il mondo non è così semplice. La gente non è sempre ciò che sembra.”

“Cosa intendi?”


“Mi riferisco,” disse José Luis, girando attorno alla scrivania e mettendo una mano sulla spalla di Alejo, “che la gente al di fuori del nostro cerchio a volte viene abbagliata. Questo cognome, Alejo, il cognome Salcedo de la Cruz, è potente. Porta benefici. Terre, denaro, status.” Fece una pausa, lasciando che le parole penetrassero. “Non sto dicendo che la ragazza sia una criminale. Ma forse ha visto un’opportunità. Forse si è avvicinata a te, non per chi sei, ma per ciò che rappresenti. Il suo interesse per te è per te, o per i benefici che questo cognome porta con sé?”

José Luis stava giocando la sua carta maestra, seminando il dubbio nel cuore di Alejo, dipingendo Luisa non come una vittima, ma come una calcolatrice cercatrice di fortuna. Stava cercando di avvelenare l’unica alleanza che poteva minacciare Vittoria.

La tensione nel palazzo aveva raggiunto un punto di ebollizione. Vittoria, seguendo il consiglio di José Luis, ma dandogli il suo tocco teatrale, decise che era giunto il momento di controllare la minaccia di Damaso. Lo invitò nel suo studio. Damaso entrò, osservando l’opulenza con uno sguardo indecifrabile.


“Damaso,” iniziò Vittoria, la sua voce ferma, la Duchessa in totale controllo. “Abbiamo parlato, io e José Luis. Il tuo ritorno nel valle è stato inaspettato, ma comprendiamo che questa è la tua terra. Non è appropriato che un uomo della tua connessione con la famiglia viva nella locanda del paese.” Damaso aspettò, non disse nulla, quindi Vittoria continuò, sentendo di guadagnare terreno. “Abbiamo deciso di invitarti a vivere nel palazzo, nell’ala di servizio, ovviamente, ma sarai comodo, vicino a dove potremo prenderti cura di te.”

L’offerta era una gabbia dorata, una mossa per tenerlo vicino, per sorvegliarlo, per controllarlo. Vittoria sorrise internamente, assaporando la sua astuzia. L’aveva preso. Damaso la osservò a lungo. La stanza era silenziosa, salvo per il ticchettio dell’orologio sulla mensola. Finalmente, annuì lentamente. “È molto gentile da parte vostra, Duchessa. Accetto.”

Vittoria sentì un’ondata di sollievo. Aveva funzionato. Era addomesticato. Si rilassò, la sua postura perdendo un briciolo di rigidità. “Bene, allora, e dato che saremo una famiglia, per così dire, vivendo sotto lo stesso tetto,” lo interruppe Damaso, la sua voce pericolosamente morbida, “c’è qualcosa che mi è rimasto in testa. Una domanda sul passato, sulla mia cara Pilar e su suo figlio.”


Vittoria si irrigidì di nuovo. L’aria nella stanza divenne elettrica. Damaso fece un altro passo verso il tavolo, i suoi occhi fissi nei suoi, spogliandola del suo titolo, del suo potere, della sua facciata. Riuscì all’impensabile. A destabilizzare Vittoria Salcedo de la Cruz. Lanciò la domanda che avrebbe cambiato tutto. Una bomba che aveva tenuto per decenni, ora detonata nel cuore della fortezza nemica.

“Victoria, Gaspar era mio figlio.”

La domanda rimase sospesa nell’aria, distruggendo il silenzio, distruggendo il presente e minacciando di abbattere l’intero Valle Salvaje.