TAHSIN È STATO COLPITO! LA FAMIGLIA SANSALAN ESPLODE – TRADIMENTO, SANGUE E VENDETTA!

La notte più buia è calata su Istanbul, squarciando il fragile velo di pace che la famiglia Sansalan aveva faticosamente tessuto. Il telefono, portatore di notizie che cambiano destini, squilla nell’oscurità. Dall’altro capo, la voce di Serat, carica di orrore, descrive una scena da incubo: un’auto abbandonata, il vetro del conducente crivellato, l’abitacolo vuoto, macchie scure che raccontano l’assenza di vita. Il respiro si blocca, il tempo si sgretola in un istante.

Nu, il cui volto si sbianca in un pallore spettrale, avverte un gelo penetrare le ossa. Sevilai, le mani che si irrigidiscono in pugni serrati, sente la terra tremare sotto i piedi. Melek, già custode di due vite, si porta una mano sulla pancia, una disperata protezione contro l’orrore che incombe. Gian, il volto contratto dalla disperazione, cerca un appiglio in un vuoto assordante.

Poi, l’esplosione. Mannu, il cui corpo un istante prima irradiava una calma ingannevole, si rivela una furia indomabile. La pace, dichiara con voce spezzata, era solo una maschera. Accusa l’altra famiglia di aver armato la mano sbagliata, trasforma la sala gremita in un tribunale implacabile, giurando che qualcuno pagherà un prezzo salatissimo. Gian, incredulo, tenta una difesa, ma la furia di Mannu non ammette spiegazioni. Un ordine perentorio rompe l’aria: “Agire!”. Esci. Gian, trascinato da un vortice di eventi, lo segue, lasciando la sala senza ossigeno, sommersa da un caos che travolge ogni certezza.


Mentre il fragore delle accuse si propaga, Sumru si scaglia su Samet con la violenza di una ferita che si riapre. Anni di umiliazioni, parole non dette e sofferenze represse esplodono in un torrente di accuse corrosive. Samet, avvelenato dalla sua stessa rabbia, trasforma ogni ricordo in un’arma tagliente, le parole che si trasformano in schegge di vetro. Harika, con disperati tentativi, cerca di soffocare le fiamme che divampano, ma la stanza è ormai in fiamme, divorata da parole incandescenti.

Melek e Sevilai, con la forza della disperazione, trattengono Sumru, che cede solo quando il peso della sua angoscia supera quello della sua furia. “Se a Tahsin succedesse qualcosa,” sussurra il suo corpo, un grido primordiale, “non ci sarà più niente.” Samet, con un tono basso e gelido, emette una sentenza che chiude i nervi e apre un abisso: “Se Dio vuole.” La pace, che solo un’ora prima brillava di una luce cristallina, ora pende da un filo sottile, aggrappata a un referto che non c’è, a una firma che nessuno sa se arriverà mai. L’hotel, un tempo sontuosamente addobbato per una riconciliazione tanto attesa, ora assomiglia a una chiesa dopo un tuono devastante. Le luci sono accese, le sedie ordinate, ma nell’aria aleggia il rumore muto di una promessa che lotta per sopravvivere.

Quelle poche parole bastano a riaccendere la furia in Sumru. Il suo sguardo, un tempo spezzato, si affila come una lama sottile, carico di rabbia repressa e di un disprezzo silente che gela il sangue. Mentre nella sala la tensione implode, fuori, Gian sfreccia nell’oscurità, seguendo la scia di Nu come un’ombra che non sa se inseguire o fuggire. Un pensiero martellante gli tormenta la mente: ogni volta che cerca di costruire la pace, suo padre trova il modo di distruggerla. Il volante si stringe tra le sue mani, quasi a voler stritolare la colpa. È stanco. Stanco di combattere, stanco di giustificare, stanco di fingere che questa guerra fratricida abbia ancora un senso.


Poi, in lontananza, appaiono le luci dei lampeggianti. L’auto di Tahsin è ferma sul ciglio della strada, il vetro del conducente macchiato di fori, l’aria impregnata dell’odore metallico del pericolo e di un silenzio agghiacciante. Nu arriva per primo, Serhat lo attende accanto agli agenti, il volto segnato dallo sguardo di chi ha visto troppo tardi. Un ufficiale, con un misto di rispetto e timore, lo riconosce. Parla di un’imboscata, di un agguato crudele. Non sanno se Tahsin sia stato rapito o sia riuscito a fuggire. Le ricerche sono iniziate, ma nessuno osa pronunciare la parola “vivo”.

Nu si avvicina lentamente all’auto. Ogni passo pesa come un secolo. Si ferma davanti al finestrino infranto e, per un istante eterno, il suo respiro si ferma. Non c’è un corpo, non c’è abbastanza sangue per un addio convenzionale, ma c’è abbastanza da scatenare il panico. Quando si volta verso Serhat, i suoi occhi bruciano di un fuoco incontrollabile. Serhat, con la voce rotta dal senso di colpa, confessa: avrebbe dovuto accompagnare Tahsin quella sera, ma lui lo aveva mandato dalla madre. Al suo ritorno, solo il silenzio, la macchina e quell’odore inconfondibile di tragedia imminente.

Jihan arriva poco dopo. Scende dall’auto con la furia che gli stringe il petto, cercando risposte, ma trovando solo sospetti. Nu lo vede e la tensione esplode. Tutto ciò che covava dentro si trasforma in accusa. Si sente tradito, ingannato. Nel turbinio della confusione, il dolore si fonde con la rabbia. Gli agenti e Serhat cercano di trattenerlo, ma il suo corpo trema, come se volesse spaccare l’aria. Jihan tenta di mantenere la lucidità, di dimostrare che non è lì per difendere nessuno, ma per capire. Promette a se stesso che se qualcuno della sua famiglia fosse coinvolto, ne risponderà personalmente. Ma Nu non ascolta, divorato da una furia cieca che lo rende irriconoscibile. La scena si trasforma in un campo di battaglia silenzioso, dove le parole hanno perso ogni potere. La folla si muove come un’onda inquieta, chiedendo a Jihan di allontanarsi, non per paura, ma per permettere a Nu di respirare. Jihan si volta una sola volta, il volto pallido, la mascella contratta. Poi sale in macchina e riparte verso la villa, mentre la notte lo inghiotte.


Dentro la casa, Sumru cammina avanti e indietro, ogni secondo un’ora che pesa sulla sua anima tormentata. Sevilai cerca di rassicurarla, ma le parole scivolano via senza forza. Fuori, Melek attende. Quando vede arrivare Gian, i fari illuminano i loro volti stanchi. Lei sale in macchina, tremante, la voce spezzata dall’ansia. Si sente impotente, inutile, come se il destino si fosse chiuso in un cerchio impossibile da spezzare. Jihan la stringe a sé, un abbraccio disperato nel tentativo di fermare il tempo. Le racconta di aver visto l’auto, ma non il corpo. Che forse c’è ancora speranza. Le chiede notizie di Sumru, ma lei rifiuta di entrare. Ha appena litigato con Nu, e la tensione tra loro è troppo fresca per essere contenuta.

Melek si dispera, si chiede perché la pace debba sempre dissolversi proprio quando sembra a portata di mano. Jihan la ascolta in silenzio, accarezza il suo ventre con la delicatezza di chi tocca il futuro, e promette che non rinuncerà. Che troverà una via che non permetterà all’odio di vincere ancora. Melek annuisce, ma nei suoi occhi brilla la paura. Teme che la guerra sia tornata a bussare alla loro porta. Jihan sospira, guarda oltre il parabrezza, il suo volto si perde nella luce dei fari. Dentro di sé, sa che Melek ha ragione. Tahsin aveva troppi nemici, troppi conti in sospeso, troppi fantasmi pronti a colpire. Forse è stato suo padre, forse Hikmet, forse Esat, o forse qualcuno che nessuno ha ancora il coraggio di nominare. E così, mentre l’alba inizia a filtrare dietro le colline, l’unica certezza è che la pace è già morta. Che la prossima volta che il telefono squillerà, potrebbe non esserci più nessuno dall’altra parte. Jihan la stringe forte, e nel silenzio che segue, la promessa nasce come un giuramento. Anche se fosse stato suo padre, lo punirà con le proprie mani. Ma Melek sente l’ombra di quelle parole, e il suo cuore vacilla. Gli chiede di non lasciarsi guidare dall’impulso, di non sacrificarsi per una vendetta che non guarirebbe nessuno. Ha paura, paura di perderlo, di vederlo travolto da una guerra che non finisce mai. Jihan la rassicura, con la voce ferma di chi ha scelto una direzione. Starà attento per lei, per la vita che cresce dentro di lei. Melek sorride piano, ma non resiste alla domanda che le sfugge spontanea: “Perché parli di bambina?” Jihan risponde con un sorriso appena accennato, come se sentisse qualcosa che gli altri non possono ancora vedere. Dice che lo sa, che nel suo istinto è già certo: sarà una femmina. Melek ride, scuote la testa, e controbatte che sarà un maschio. Per un attimo, la stanza si riempie di leggerezza, un frammento di normalità nel caos. Poi il suo volto si fa serio. Melek lo guarda negli occhi e percepisce un peso che non vuole dire. Jihan le prende la mano e con voce bassa confessa che qualunque cosa accada, vuole che sappia quanto la ama. Non è un addio, ma una precauzione, un modo per lasciare parole che sopravvivano a tutto. Lei lo implora di non parlare come se il destino stesse già preparando un colpo, ma lui sa che, dopo tutto ciò che hanno vissuto, la pace non è mai definitiva. I problemi sembrano non finire, e il futuro riscrive ogni piano. Resta un terreno minato. Per questo Jihan sente il bisogno di dirlo, di riversare l’amore dove il mondo ha lasciato solo paura. Melek lo ascolta e risponde che desidera una sola certezza: svegliarsi un giorno accanto a lui, con il loro bambino tra le braccia. Jihan la fissa a lungo, come per imprimerla nella memoria, e promette che sarà così. Le dice che è l’unico scopo della sua vita, che proteggerà ciò che stanno costruendo con ogni respiro.

Nel frattempo, nella casa avvolta dal silenzio, Sumru parla al telefono con Nu. La sua voce è spezzata dall’ansia. Vuole raggiungerlo, unirsi alla ricerca di Tahsin. Lui tenta di dissuaderla, ma alla fine cede e le manda la posizione. Appena chiude la chiamata, Sumru si gira verso Melek e Sevilai e le invita a restare. Si cambierà, dice, e partirà subito. Quando esce dalla stanza, l’aria resta immobile. Melek guarda Sevilai e sussurra che tutto peggiorerà, che anche se dovessero ritrovare Tahsin, nessuno riuscirà più a fermare Nu. Sevilai osserva la scena con attenzione. Le suggerisce che Jihan consegnerebbe il responsabile alle forze dell’ordine. Melek ribatte subito che Nu non accetterebbe mai. Le dice che se ciò accadesse, la sua rabbia tracimerebbe, diventando totalmente incontrollabile. Poco dopo, Sumru arriva. Nu le spiega che squadre di agenti battono già il bosco per Tahsin. I due si lanciano nella ricerca, i passi affrettati. Nu tenta di calmare Sumru, le sussurra parole per frenare la sua disperazione che cresce. Un grido improvviso squarcia la tensione. Un poliziotto annuncia che è stato trovato. Nu e Sumru corrono verso il punto. Lei, in lacrime silenziose, lo implora di controllare. Gli chiede se Tahsin è vivo. Tremando, Nu si china sul corpo, gli poggia una mano sul collo, poi, con un filo di voce appena udibile, le annuncia che respira ancora. Sumru scoppia a piangere, sconvolta dal sollievo e dallo shock. Serhat osserva la scena con gli occhi pieni di colpa e una paura tagliente. Tahsin viene subito immobilizzato e caricato su una barella. Lo trasportano d’urgenza in ospedale. Nel frattempo, al palazzo, Esat e Hikmet entrano nel salone. Hikmet commenta di essere assolutamente convinta che sia stato Samet a ordinare la sparatoria contro Tahsin. Esat ammette che è possibile. Aggiunge la sorpresa provata quando suo padre aveva accettato la pace, sospettando un secondo fine nascosto. Hikmet, con un tono che brucia di sarcasmo, gli commenta che forse, dopo aver ricevuto il rene di Bunamin, gli è venuto qualche barlume di buon proposito. In quell’istante, Turkan entra, sorpresa di vederli rientrare così presto. Esat, con arroganza glaciale, le risponde subito, le chiede con disprezzo perché dovrebbe importarle. Poco dopo arrivano Kanan e Bunamin, lamentandosi di non aver mangiato bene. Esat ordina a Turkan di apparecchiare la tavola e di preparargli un’insalata. Kanan chiede del tè per tutti. Scoppia una breve lite tra Bunamin, Esat e Hikmet. Bunamin, visibilmente infastidito, ricorda a Esat la sua appartenenza agli Sansalan. Gli dice che piaccia o no, non avrebbe alcun senso ordinare di sparare a Tahsin, perché questo scatenerebbe inevitabilmente una faida di sangue. Esat, convinto che Tahsin sia ormai morto, gli replica con tono sprezzante, chiedendogli di quale faida stia parlando. Bunamin lo guarda serio e gli ribatte che spera non sia così, altrimenti li seppelliranno uno a uno in un vallone e del nome Sansalan non resterà più nulla. Aggiunge che anche se Tahsin dovesse sopravvivere, non sarebbero comunque al sicuro. Gli dice che c’è sempre Nu, che definisce un maniaco, e gli afferma di sapere esattamente come andrà a finire questa storia. All’ospedale, Tahsin viene portato di corsa, spinto verso il pronto soccorso. Poco dopo, Melek e Sevilai arrivano, cercano di confortare Sumru, visibilmente sconvolta dal terrore. Un medico esce, li informa che Tahsin dovrà essere operato, li assicura che li terranno aggiornati sull’esito dell’intervento chirurgico. Nu lo ringrazia. Tutti restano in un silenzio greve, in attesa di notizie, immobili. Al palazzo, Niet sente Samet parlare al telefono, lo affronta con decisione, gli chiede apertamente se è stato lui a ordinare l’attentato contro Tahsin. Samet si mostra indignato, gli chiede come osi lanciargli un’accusa simile, ma Niet gli ribadisce di sapere bene cosa gli sta chiedendo. Gli dice di conoscere il suo modo di agire, subdolo. Samet, infastidito, gli ricorda che vive a casa sua. Niet corregge immediatamente, gli dice che quella non è la sua casa, ma la casa di Tahsin. Poi lo provoca, gli dice che se pensa di poterla prendere per un braccio e cacciarla, può pure provarci. Poi insiste, gli chiede nuovamente se è stato lui a ordinare la morte di Tahsin. Samet, esasperato, gli chiede se è impazzita, si difende, gli dice che non avrebbe mai potuto ordinare una cosa simile. Gli ricorda il trapianto di rene subito poco prima. Gli sottolinea che non sa ancora se vivrà o morirà. Niet allora gli domanda se pensa che possa essere stata Hikmet. Samet ribatte chiedendole se crede davvero che Hikmet sia capace di un gesto così estremo. Niet le suggerisce che Hikmet è molto abile in certe situazioni, le dice che potrebbe essere stata lei. Samet li invita a essere più razionali, dice loro di usare la logica, tenta di spostare i sospetti altrove. Sottolinea che Tahsin è apparso all’improvviso con una grande fortuna, forse non guadagnata onestamente, e che quindi potrebbe avere molti nemici. Samet le ammette di non provare dolore per la possibile morte di Tahsin, ma le ribadisce di non aver mai ordinato l’attacco. Niet le ricorda che Tahsin è suo fratello. Samet le replica che non lo sente come tale. Le dice che per lui la fratellanza non ha poi così tanta importanza. Nel frattempo, Jihan arriva in ospedale. Nu porta del tè a Sumru, Melek e Sevilai, ma loro gli rifiutano tutti la tazza. Nu, infastidito, li invita a stare tranquille, dice loro che Tahsin è forte e supererà tutto. In quell’istante, Jihan entra nella sala d’attesa. Melek si alza, gli va incontro preoccupata. Nu lo attacca verbalmente, la rabbia esplode, lo minaccia di picchiarlo, lo accusa di non essere riuscito a uccidere Tahsin. Nu accusa gli Sansalan di aver fatto di tutto per eliminare Tahsin. Chiede, con un tono che non ammette repliche, il motivo della presenza di Jihan. Jihan risponde che non è il luogo adatto per affrontare una discussione. Melek interviene, tenta di calmarlo, prega Nu di non fare una scenata davanti alla sala operatoria. Nu l’accusa di essere diventata una Sansalan troppo in fretta. Le dice che li ha già perdonati tutti. Le ricorda ciò che le hanno fatto passare, le chiede come possa dimenticare. Jihan afferma di non sapere ancora chi sia il responsabile e promette che se dovesse essere uno degli Sansalan, verrà punito senza pietà. Nu lo interrompe subito, sostiene che è stato sicuramente uno di loro. Melek ribatte che non sanno chi l’abbia fatto. Le dice che anche se fosse un parente di Jihan, questo non significa che Jihan ne sia coinvolto. Nu insiste, dice che l’azione di un solo Sansalan rappresenta tutti i Sansalan, e chiude la discussione con un gesto stizzito. In quel momento, Sumru scoppia in un pianto disperato.


Melek, esasperata dalla violenza verbale, si rivolge al fratello con sarcasmo amaro. Gli dice di continuare così. Sottolinea che quello che ha passato la loro madre evidentemente non basta. Gli dice che lui continua a infierire, poi si avvicina a Sumru e le chiede scusa, le offre conforto. Jihan si accosta a Sumru, le assicura che resterà nei paraggi in attesa. Nu, però, interviene per smentirlo, dice a Sumru di non ascoltarlo e caccia via Jihan con una spinta. Jihan se ne va. Melek lo segue fuori. Melek gli chiede scusa per il comportamento del fratello. Jihan le risponde che non deve farlo. Le dice che lei non ha alcuna colpa. Melek replica che essendo suo fratello, è come se fosse la stessa cosa. Le dice che Nu si comporta così solo perché non riesce più a ragionare con lucidità. Jihan la rassicura, le dice che Tahsin è come un padre per tutti loro e spera che l’intervento vada bene. Le aggiunge che prima o poi Nu imparerà a comportarsi in modo più ragionevole e le consiglia di rientrare dentro per non prendere freddo. Al palazzo, Niet è al telefono con Sumru mentre si avvicina al divano dove sono già sedute Harika e Hikmet. Appena siede, Harika chiede indignata se sua madre stia male per quell’uomo. La nonna la corregge subito, le ricorda che quell’uomo è suo zio, il fratello di sua madre. Sospettosa, Niet racconta che hanno trovato Tahsin nella foresta, colpito da armi da fuoco alle spalle. In quel momento, Bunamin arriva, chiede se si è trattato di un’imboscata. Nihayet ammette di non saperlo. Harika, sarcastica, le suggerisce di correre subito all’ospedale da suo zio, di aspettare davanti alla sala operatoria. Bunamin le replica che se fosse in lei, sarebbe già lì, ma Harika gli ribatte che non è così e non lo sarà mai. Nihayet la guarda male, gli occhi torvi. Bunamin insiste, dice che lui è uno Sansalan, che lei lo voglia o meno. Dice che come fratello maggiore farà di tutto per mantenere la pace familiare. Hikmet lo deride per le frasi pompose. Nihayet lo tranquillizza, gli dice di non arrabbiarsi, gli dice che è solo una seccatura da ignorare. In quel momento, Janan arriva cambiata d’abito, gli dice di essere stanca di stare tutto il giorno nello stesso vestito. Hikmet, sarcastica, le fa notare che prima indossava lo stesso abito per tre giorni e ora si cambia ogni ora. Bunamin dice a Janan di prendere il giaccone. Andranno in ospedale da suo zio, l’attesa è necessaria. Harika li prende in giro con una risata acida, mentre Niet la guarda furiosa. In ospedale, Jihan scende di nuovo in sala d’attesa. Nu cerca subito di aggredirlo, gli muove le mani minaccioso, ma Sumru lo ferma, gli dice che Jihan non ha fatto nulla di male. Così Nu si trattiene a denti stretti. Poco dopo, Janan e Bunamin arrivano preoccupati per Tahsin. Nu non li degna di uno sguardo. Il dottore finalmente esce dalla sala operatoria, li annuncia di aver rimosso i proiettili, dice che solo una parte era danneggiata, li assicura che hanno fatto tutto il possibile e che ora tutto dipende dalla reazione di Tahsin. Nelle prossime 24 ore si saprà se sarà fuori pericolo di vita. Tutti restano preoccupati ma speranzosi. Ringraziano il dottore. Al palazzo, Hikmet è nella sua stanza. Riflette. La situazione si farà complicata, le sembra. È meglio prepararsi in anticipo. Esce di casa. Jihan, vedendola, si chiede subito dove stia andando a quell’ora tarda. Decide di seguirla. Sospetta che possa avere a che fare con l’imboscata a Tahsin. La trova in un luogo isolato. La interroga, le chiede con chi debba incontrarsi. Le domanda se sia il suo sicario. Hikmet sorride, le risponde: “Sono una donna libera, posso uscire quando voglio.” Jihan l’avverte che non lascerà perdere la faccenda. Poco dopo arriva la signora Nial, sorpresa nel vederli insieme. Hikmet si alza per salutarla, le sussurra di seguire il suo gioco, l’invita a sedersi e li presenta. Poi, sarcastica, finge di darle dei soldi, come se Nial fosse il suo sicario. Questo fa infuriare Jihan, che si alza e se ne va lasciandole sole. Subito dopo, Hikmet riprende i soldi. Nial le chiede cosa stia succedendo. Ammette di non aver capito nulla. Hikmet inizia a spiegare: voleva far insospettire Jihan, in modo che potesse riferire a Sumru del loro incontro notturno. Nial chiede a Hikmet se la Sumru in questione sia l’impiegata del negozio e quale ruolo abbia avuto nella scomparsa di suo marito. Hikmet ammette di nutrire forti sospetti. Nial esige chiarezza, ricordandole che l’ha convocata nel cuore della notte proprio per discutere del marito. Hikmet ribalta la prospettiva, le chiede se creda davvero che il marito sia ancora in giro con un’amante, dato che le sue carte di credito tacciono. Suggerisce invece l’omicidio. Poi spinge Nial a riflettere su chi abbia effettivamente guadagnato dalla sparizione. Nial risponde di essere stata lei a beneficiarne, incassando una grossa somma dalla vendita del negozio. Hikmet la induce a considerare un fatto cruciale: ora il negozio appartiene a Tahsin e Sumru. Insinnua che Nial dovrebbe indagare proprio su di loro per scoprire la verità. Nial, confusa, le replica che tutto ciò non ha senso e fa per andarsene, ma Hikmet la blocca, chiedendole perché il marito avesse aperto la sua casa a Sumru. Insiste affinché concentri le indagini su di loro. Davanti all’ospedale, il capo della polizia conversa con Nu, gli dice che gli agenti sono ancora sulla scena dell’imboscata. Gli comunica che il sicario è svanito nel nulla e deve avere un covo segreto. L’attacco porta la firma di un professionista. Nu afferma di esserne consapevole. Insiste sull’esistenza di una mente dietro l’azione, di un mandante che ha dato l’ordine. Il capo risponde seccamente: “Quello è il suo incarico.” Aggiunge che Tahsin gli è caro, al di là di ogni dovere professionale, e che le loro intenzioni sono allineate. Lo avverte, parlandogli piano: “Non deve compiere azioni che li mettano l’uno contro l’altro.” Nu sorride, un’espressione tagliente gli increspa il volto. Gli dice che parla esattamente come Tahsin. Il capo ricambia il sorriso, gli risponde che Tahsin gli ha parlato a lungo di lui. Nu incassa il complimento. Un lampo negli occhi rivela un barlume di soddisfazione. Poi insiste, afferma la sua granitica certezza: “Gli Sansalan hanno ordinato l’agguato.” Il capo ribatte: “Chiunque sia il responsabile sarà assicurato alla giustizia e punito dalla legge. Lo ammonisce: ‘Non deve farsi giustizia da solo.'” Aggiunge di aver parlato con Jihan al telefono. Anche Jihan esige la verità, persino se dovesse toccare la sua stessa famiglia. Nu si fida, il capo lo rassicura, gli dice che Jihan è un uomo di parola. Nu annuisce, un gesto secco, ha compreso. Sumru scivola nella stanza di Tahsin. Il silenzio della terapia intensiva è assordante. Gli parla, gli confessa l’assenza del padre, l’assenza di fratelli o zii nella sua vita. Gli ricorda di essere stata troppo ingenua, troppo giovane quando tutto accadde. Gli dice di aver ceduto solo a parole vuote di un uomo. Poi era venuto Samet. Anche lui parlava d’amore, ma l’aveva sposata solo per darle il ruolo di madre di Jihan, non per amore vero. Ora la comprensione è totale. Gli dice che per la prima volta sente l’amore di un uomo. Piangendo, gli dice che l’unica persona ad amarla davvero è lui, Tahsin. Gli sussurra che anche lei ha il diritto di essere amata, di credere. Singhiozzando, gli dice “Ti amo.” Con il cuore in gola, gli chiede di restare con lei. Nu entra, la figura si staglia sulla porta, le dice con voce ferma che Tahsin non la lascerà. Le dice che non ha mai fallito con nessuno, non lo farà adesso. Le porge così una mano salda di speranza. Al palazzo, Jihan attende. Arriva Nu! Uno sparo secco. Il rumore metallico strappa l’insegna dell’edificio. Nu urla il nome di Jihan, lo sfida a uscire. La famiglia Sansalan si sveglia nel terrore. Samet gli ordina di non muoversi, di chiamare la polizia, ma Jihan lo zittisce. Esce, affronta Nu, parla forte, la voce risuona affinché tutti in casa ascoltino. Lo accusa: “Jihan è complice dell’attacco. Tahsin colpito alle spalle.” Jihan gli ribadisce: “Hanno già negato, loro non c’entrano.” Nu lo interrompe, gli intima il silenzio, gli dice di essere venuto solo per l’avvertimento finale: “D’ora in poi dovrà proteggere se stesso, la sua famiglia, gli averi, tutto ciò che possiede.” Jihan gli sorride, una smorfia carica di significato. Gli risponde che rinuncerebbe a ogni cosa per Melek. Le parole fanno infuriare Nu. Gli chiede come osi pronunciare il nome di sua sorella senza il suo permesso. Jihan avanza, gridandogli che Melek è la donna che più ama e rispetta, la madre di suo figlio. Nu replica freddamente: “Per lui quel bambino non esiste e nemmeno quella Melek.” Jihan blocca la sua stessa rabbia. La tensione gli spezza il respiro. Ricorda la promessa fatta a Melek di non confrontarsi con Nu, ma l’uomo gliela sta rendendo impossibile. Aggiunge che ha fatto l’impossibile perché il figlio crescesse in un clima di pace, ma finché avrà uno zio simile, ogni sforzo è vano. Con voce di ferro, lancia il guanto di sfida: “Se Nu desidera la guerra, lui la troverà.” Nu lo schernisce, deride il suo discorso come toccante ma inutile, poi si fa serio, affermando che tutti devono proteggersi. Jihan taglia corto: “Se un membro della sua stessa famiglia è coinvolto nell’imboscata, lo punirà prima che lo faccia Nu.” Nu lo fissa negli occhi, chiedendogli se la punizione si estenderebbe anche a suo padre. Jihan risponde con una fermezza che non ammette repliche: “Sì.”

All’interno della casa, Samet deglutisce a vuoto. La sua figura trema mentre osserva la scena. Nu ringrazia Jihan con un cenno glaciale e si allontana. Il giorno dopo, Jihan mostra un video a Melek. Le riprese, ottenute chiedendo a Turkan di filmare l’incontro, mostrano lo scontro. Guardando la sequenza, Melek gli chiede il significato della sua dichiarazione di guerra. Jihan le confida di non avere più scelta e di aver abbandonato ogni speranza di pace. In ospedale, Nazim è al telefono quando vede Sevilai dirigersi alla reception, chiude la chiamata e si avvicina per salutarla. Sevilai è colta di sorpresa e a disagio, sforzandosi di mascherare l’imbarazzo mentre gli chiede se sta bene. Nazim spiega di essere lì per un cliente e, intuendo la ragione della sua presenza, le chiede notizie di Tahsin. Non fa in tempo a terminare che Nu irrompe come un ciclone. Lo affronta con tono duro, convinto che stia spiando Sevilai. Nazim mantiene un controllo glaciale, le ribadisce di essere lì per lavoro e di averla salutata solo per cortesia. Prima di andarsene, lascia una stilettata verbale, augurando a Sevilai che Dio le alleggerisca la vita con un uomo come Nu. Poco dopo, un’infermiera annuncia che Tahsin è stato trasferito in stanza e le sue condizioni sono stabili. La tensione accumulata si scioglie in un abbraccio tra Sumru e Nu, un sollievo viscerale. Sevilai si allontana in fretta dall’ospedale, scossa e silenziosa. Tahsin si risveglia lentamente. Sumru è al suo fianco, il volto rigato dalle lacrime. Gli confessa l’intensa paura che hanno provato per lui. Tahsin, ancora debole, le racconta un ricordo confuso. Nel cuore della notte, ha sentito una mano sulla sua e una voce che lo implorava di non lasciarla. Le dice di aver risposto che sarebbe rimasto, ed è per questo che è tornato. Sumru gli stringe la mano, sorridendo di felicità e commozione. Fuori, lontano dall’ospedale, il rumore di un cavallo rompe il silenzio. Jihan arriva alle stalle, ignaro di ciò che sta accadendo in città. L’aria odora di fieno e polvere. Dentro, due voci si affrontano a bassa voce, cariche di tensione. Samet e Rifat, il sicario, discutono. Samet pretende indietro il denaro di un lavoro non compiuto, perché l’uomo che doveva morire è ancora vivo. Rifat, glaciale, risponde che l’anticipo è perso, l’incarico è stato ritirato, il denaro non esiste più. Jihan ascolta in silenzio, immobile nell’ombra. Ogni parola lo inchioda, poi entra. Il rumore dei suoi passi fa sobbalzare entrambi. Samet impallidisce mentre Rifat resta immobile, come se lo aspettasse. Jihan si avvicina con passo lento, lo sguardo fermo, la voce bassa ma tagliente. Gli chiede chi fosse la vittima. Un silenzio pesante riempie la stalla. Poi, con un filo di voce, Rifat ammette la verità: “L’uomo che doveva morire era Tahsin Yeni.” Il mondo sembra fermarsi. Samet resta paralizzato, incapace di parlare. Jihan lo fissa, il volto teso, lo sguardo duro e incredulo. In quell’istante, capisce che il pericolo non arriva più dall’esterno, si nasconde dentro la sua stessa famiglia. E mentre fuori il vento solleva la polvere e il cielo si chiude come una ferita, qualcosa dentro Jihan si spezza definitivamente.

La pace è finita. La guerra è appena cominciata.


M.