SOLUCIONES PRÁCTICAS A GRANDES MALES EN LA PROMESA || CRÓNICAS de lapromesa series

Nel vortice di intrighi, passioni inconfessate e segreti che avvolgono il magnifico Palazzo de La Promesa, si cela un fascino innegabile. La serie spagnola, diretta magistralmente, ci tiene incollati allo schermo con una suspense che rasenta l’ossessione, un intreccio emotivo capace di farci sognare e soffrire con i suoi protagonisti. Eppure, tra le pieghe di queste complicate vicende, si annida un pensiero ricorrente, un sussurro che serpeggia tra gli spettatori più attenti e forse, osiamo dire, anche tra gli sceneggiatori stessi: quanto spesso le soluzioni a questi drammi monumentali sarebbero, in realtà, disarmante-mente semplici?

Oggi, in queste cronache dedicate all’universo de La Promesa, abbatteremo questa barriera invisibile. Metteremo da parte la complessità artificiosa e armeremo il nostro intelletto con la più potente delle armi: il buonsenso. Ripercorreremo alcuni dei tormenti più acuti che affliggono i personaggi del Palazzo Luján e proporremo soluzioni pratiche, concrete, che forse, proprio come suggeriscono i commenti dei nostri fedeli lettori, avrebbero potuto risolvere molte delle loro tribolazioni con un semplice gesto. Allacciate le cinture, perché questo viaggio attraverso le apparenti complicazioni de La Promesa promette svolte inaspettate e rivelazioni che potrebbero cambiare la nostra percezione di molti eventi.

Sono il vostro Gustav, e come sempre, vi accompagno in una narrazione che merita di essere svelata. Qui, in questo spazio dedicato all’eccellenza dell’intrattenimento, trovate sempre contenuti originali, veritieri e certificati, la compagnia che non vi tradisce mai.


Iniziamo, come è giusto che sia, con il caso emblematico di Curro, il figlio del Marchese, una figura costantemente intrappolata in una spirale di umiliazioni e disagi. Ricordiamo tutti il momento in cui Alonso Luján, sotto la pressante influenza del Duca di Carvajal y Fuentes, fu costretto a presentare Curro come un semplice valletto per ingraziarsi il Re. In quel contesto, la manovra aveva una sua logica, un apparente scopo diplomatico. Tuttavia, il tempo è trascorso, don Lisandro è stato allontanato dalla scena, e la domanda che riecheggia prepotente è: perché Curro continua a servire come lacché all’interno del Palazzo?

Sinceramente, è un limbo narrativo che sfugge a ogni giustificazione razionale. Il Palazzo de La Promesa, situato nel cuore della campagna andalusa, nella provincia di Córdoba, è per sua natura un luogo isolato dal vortice della vita mondana e della corte reale. Siamo nel 1916, un’epoca in cui i mezzi di comunicazione erano rudimentali, privi di social media o portali di notizie che potessero diffondere pettegolezzi. L’assenza di telefoni cellulari rende la comunità ancora più isolata. A meno che qualcuno all’interno del Palazzo, come il manipolatore Lorenzo o la subdola “posticcia”, non decida deliberatamente di diffondere informazioni, chi altro potrebbe accorgersi della vera identità di Curro?

La soluzione è così ovvia da risultare quasi dolorosa. Curro potrebbe semplicemente smettere di agire come lacché e vivere apertamente come ciò che è: il figlio del Marchese. Per evitare equivoci o sospetti pubblici, potrebbe semplicemente tenersi lontano dagli eventi mondani e dalle occasioni in cui la sua presenza potrebbe sollevare interrogativi. In questo modo, nessuno avrebbe motivo di pensare che non faccia più parte della famiglia. Fine del problema. Eppure, gli sceneggiatori sembrano preferire il tormento prolungato, lasciandolo a lustrare vassoi sotto lo sguardo sprezzante di Lorenzo. Sebbene questo possa servire a mantenere l’audience agganciata, è innegabile che il pubblico abbia già sofferto abbastanza con le vicissitudini di Curro. Forse sarebbe ora di trovare nuove fonti di dramma, permettendo al povero Curro di vivere una vita più serena al fianco della sua famiglia.


Passiamo ora a Teresa de la Suiza, un personaggio che sembra aver subito un involontario regressione temporale. Abbiamo conosciuto Teresa come una giovane donna moderna, audace e indipendente, forgiata da esperienze formative in Svizzera. Eppure, di fronte alle poche, ma efficaci, parole di colpa pronunciate da sua madre, sembra regredire mentalmente di trent’anni, cambiando personalità da un momento all’altro.

Riflettiamo un istante: cosa sarebbe successo se Teresa e Curro avessero deciso di fuggire e sposarsi tempo fa? La risposta è sorprendentemente semplice: quasi nulla. Di nuovo, il fattore isolamento del Palazzo gioca un ruolo cruciale. Se non avessero reso pubblica la loro unione, chi avrebbe potuto saperlo? Nessuno. La reputazione di cui la madre di Teresa tanto si preoccupava, quella che avrebbe potuto essere compromessa, sarebbe rimasta intatta. L’idea che la sua scelta avrebbe potuto causare la rovina di sé stessa e dei suoi fratelli sembra averla imprigionata in un vortice di autocensura.

La soluzione, in questo caso, è altrettanto lineare. Teresa e Curro avrebbero potuto fuggire, sposarsi in segreto e tornare al Palazzo quando avessero desiderato. Dato che si trovano in una zona rurale isolata, la loro assenza avrebbe potuto essere mascherata facilmente. Alonso, con la sua presenza paterna, avrebbe potuto proteggerli. E voilà, il dramma sarebbe svanito. Ma, ancora una volta, la narrazione predilige l’estensione del tormento, forse per mantenere alta la tensione drammatica.


Un altro caso eclatante di umiliazione senza conseguenze tangibili riguarda Doña Leocadia. La nostra “posticcia” personale, come la definiamo affettuosamente, non perde occasione per definire Curro “bastardo”, umiliandolo, minacciandolo e ricattandolo costantemente. Lui, dal canto suo, sopporta tutto con una rassegnazione quasi santa, come se fosse condannato a espiare un peccato originale. Questa dinamica, francamente, non ha né capo né coda.

La soluzione realistica sarebbe stata semplice: Curro avrebbe dovuto chiedere un colloquio con suo padre e raccontargli tutto ciò che Leocadia gli sta facendo. Il Marchese, che a volte sembra una mera pianta decorativa nel Palazzo (un “poto” nel linguaggio colloquiale, una pianta verde rigogliosa ma inerte), avrebbe finalmente dovuto intervenire e mettere ordine. Purtroppo, il suo temperamento esitante rende questa situazione una fantasia surreale. Curro, nonostante abbia più di vent’anni, sembra comportarsi come un bambino di otto.

Ma non fermiamoci qui. Perché Curro non dovrebbe parlare non solo con suo padre, ma anche con suo fratello Manuel? Manuel, che ha condiviso con Curro le trincee della guerra, che ha vissuto esperienze così intense con lui, permetterebbe davvero che suo fratello continuasse a lavorare come un servitore, subendo tali umiliazioni? Abbiamo visto Manuel cercare di alleviare le sofferenze di Curro, ma in modo goffo e poco incisivo, quasi timoroso di “servirlo troppo”. Manuel dovrebbe intervenire fermamente, convincendo suo padre che Curro non può più essere considerato un lacché e che la sua vera identità deve essere riconosciuta. Se Alonso venisse a conoscenza delle manipolazioni di Leocadia, delle sue vere intenzioni e di come lei, usando il pretesto di aver investito denaro nel Palazzo, eserciti un potere quasi assoluto su di lui, allora sì che Alonso sarebbe costretto a prendere una posizione.


Per concludere, prima di abbandonarci a lunghe digressioni che renderebbero questo articolo interminabile, c’è un ultimo personaggio, un vero e proprio esempio di parassitismo, che merita una menzione speciale. Parliamo del Capitano Garrapata, un individuo che continua a vivere nel Palazzo come un ospite indesiderato, a spese degli altri. Sappiamo bene come abbia ingannato Alonso riguardo al contratto, appropriandosi di una parte del Palazzo, manipolato Eugenia e ingannato chiunque si sia trovato sul suo cammino. È stato, fin dal suo arrivo, una fonte incessante di malvagità. Eppure, eccolo lì, a mangiare, dormire e passeggiare gratuitamente, come se il Palazzo fosse il suo personale resort.

La soluzione, in questo caso, è brutale ma necessaria: Alonso dovrebbe semplicemente espellerlo dal Palazzo. Dal momento in cui Eugenia è morta, la sua presenza non ha più alcuna giustificazione. Era il marito della sua cognata. Quindi, un calcio ben assestato nel sedere e fuori dal Palazzo, sarebbe la degna conclusione della sua permanenza.

Ci sono molti altri nodi narrativi che meriterebbero di essere sciolti con soluzioni pratiche, ma per il momento ci fermiamo qui. Se questo approccio vi è piaciuto e desiderate che affrontiamo altri dilemmi con soluzioni concrete in futuri articoli, lasciatecelo sapere nei commenti. Ricordate di condividere questo contenuto e di mettere un “mi piace”, perché il vostro supporto è fondamentale.


Sono il vostro Gustav e vi aspetto in un altro video, con un grande abbraccio.