Sogni di Libertà: Capitolo 440 – La Silenziosa Lotta di Carmen e Claudia Contro l’Ingiustizia Lavorativa

Nelle retrovie di un negozio, tra il profumo del caffè e il peso dei segreti, si consuma un’eroica resistenza al sistema.

La penombra accogliente delle retrovie, uno spazio intimo dove l’aroma del caffè appena preparato si mescola al mormorio dei segreti condivisi, diventa il palcoscenico di un confronto carico di tensione. Carmen e Claudia, due anime affini, unite da anni di lavoro gomito a gomito e confidenti, si concedono una rara pausa nella frenesia della loro giornata. L’aria è pervasa da una calma apparente, ma sotto la superficie ribolle un’inquietudine palpabile, che agita ogni angolo di quello spazio ristretto.

Carmen, con la voce quasi un sussurro, annuncia che Gema si è momentaneamente allontanata verso il magazzino. Un pretesto perfetto, un dono inaspettato di pochi minuti di privacy, il tempo che entrambe attendevano per dare voce al proprio sfogo, per mettere insieme i frammenti di quel puzzle di voci e sospetti che da tempo ormai attraversa i corridoi di tutti i punti vendita del gruppo.


Claudia, mescolando il suo caffè con un gesto stanco, rompe il silenzio. Racconta a Carmen di essersi fermata, uscendo dal negozio, al punto vendita “La Sabbia”. Non aveva un’intenzione precisa, solo una vaga curiosità di dare un’occhiata ai nuovi espositori. Lì, inaspettatamente, si è imbattuta in Maruca, una delle responsabili più esperte e navigate. Tra un saluto di cortesia e l’altro, la cruda verità ha iniziato a farsi strada. Il modo in cui Claudia abbassa la voce, quasi confidando un segreto pericoloso, è un segnale inequivocabile: le notizie che porta sono tutt’altro che rassicuranti.

Carmen, con lo sguardo fisso su di lei, interroga direttamente: “Le altre responsabili sono arrabbiate?” La risposta di Claudia è un sospiro carico di frustrazione, un’onda di sconforto che sembra travolgerla. “Arrabbiate, Carmen? Sono che fumano dalle orecchie! Furibonde è dire poco.”

Il fulcro della conversazione si restringe allora sul vero problema, sul nuovo, scintillante sistema di vendita a commissione che l’azienda ha deciso di imporre senza consultare nessuno. Claudia, con un’indignazione che ormai non riesce più a contenere, lo definisce senza mezzi termini una truffa, un inganno avvolto in carta da regalo con la scritta “modernità”.


Spiega con una lucidità dolorosa che, dietro la promessa allettante di guadagnare di più e vendere di più, si nasconde una riduzione salariale bella e buona. “Ci abbassano lo stipendio fisso alla metà, Carmen, alla metà! E si aspettano che compensiamo la differenza con le commissioni. Ma commissioni di cosa?” si chiede con amara ironia.

Carmen annuisce lentamente. Ogni parola di Claudia riecheggia le sue stesse preoccupazioni. Anche lei ha fatto i conti e sa che la sua amica ha ragione. Il nuovo sistema le relega in una posizione di incredibile vulnerabilità. Il loro stipendio non sarà più una certezza, ma una lotteria dipendente dall’umore delle clienti e dalla fortuna del giorno.

Claudia continua il suo sfogo, tamburellando piano con le nocche sul tavolo. “E per di più, non solo ci pagano meno, ma ci rendono la vita più difficile che mai. Ora dobbiamo convincere le nostre clienti di sempre a comprare una marca nuova, una che nessuno conosce, come se fosse facile!” Sospira, con un’amarezza profonda. “Le clienti non sono sciocche, Carmen. Non si abitueranno a questo da un giorno all’altro.” Per lei è evidente che questa decisione è stata presa in un lussuoso ufficio, lontano anni luce dalla realtà della strada, da qualcuno che non ha mai messo piede in un negozio in vita sua.


Carmen, con la sua voce sempre più pacata, le dà ragione. “Ho pensato esattamente la stessa cosa, Claudia. Non ha senso. Le nostre clienti vengono qui cercando i prodotti che conoscono e amano. Si fidano di noi e delle marche che abbiamo raccomandato per anni. Pretendere che cambino le loro abitudini da un giorno all’altro è un delirio, un errore che pagheremo noi.”

La rabbia di Claudia aumenta a dismisura. L’idea di dover viaggiare fino a Madrid per un corso di formazione su un prodotto in cui non crede le sembra il culmine dell’assurdo. “Che rabbia mi fa, Carmen, te lo giuro. Dover andare lì a farci insegnare a vendere qualcosa che non ha né capo né coda, qualcosa che nemmeno noi compreremmo, è da impazzire!”

Carmen, nel tentativo di stemperare l’atmosfera, ma condividendo pienamente il suo sentire, le posa una mano sul braccio. “Ti capisco. Davvero ti capisco. Stiamo sopportando molto più di quanto dovremmo. Troppo.” Le due donne si guardano, e in quello sguardo si condensa tutta l’impotenza e la stanchezza di chi si sente intrappolato in un sistema ingiusto. Sanno che le carte sono state giocate da altri, e loro, semplici pedine sulla scacchiera, hanno poco margine di manovra.


“Ma che facciamo, Carmen? Cosa dovremmo fare?” domanda Claudia con un filo di voce. La risposta di Carmen è un eco di rassegnazione che risuona in tutta la sala. “Beh, figlia, che dobbiamo fare?” In questa semplice frase è racchiuso tutto. Protestare potrebbe costare loro il posto di lavoro. Affrontare la direzione è una battaglia persa in partenza. Non resta che abbassare la testa, ingoiare il rospo e andare avanti, accumulando frustrazione giorno dopo giorno.

Nonostante ciò, Carmen rivela di non essere rimasta completamente inattiva. Menziona di aver tentato di parlare della questione con Claudita, una delle supervisore, una figura di autorità in azienda. La descrive con una metafora molto efficace: “È come parlare a un muro di granito, un osso duro da rodere.” È una persona che non esce dal copione, inflessibile e totalmente chiusa a qualsiasi argomento che non provenga dai suoi superiori. Claudia annuisce, conosce perfettamente quel tipo di profilo. Entrambe condividono quella sensazione di trovarsi di fronte a un muro, un’autorità che sa solo obbedire agli ordini senza fermarsi a pensare al danno che possono causare. Carmen le racconta di aver tentato di ragionare con lei più volte, ma è inutile. “Non c’è modo. Non ascolta, non empatizza, tutto deve essere come dice lei e basta.”

La curiosità di Claudia si accende. “E perché hai parlato così tanto con lei ultimamente?” domanda. È allora che Carmen introduce un nuovo elemento nella conversazione, uno che le duole in modo diverso, più personale. “Per la Casa Kuna,” dice a bassa voce, riferendosi a un’istituzione benefica, un progetto sociale che, a quanto pare, l’azienda ha deciso di chiudere. La tristezza sul volto di Claudia è immediata. “Che peccato, con quanto bisogno c’è di un posto così.” La Casa Kuna è più di un semplice rifugio. È un simbolo della solidarietà della comunità, un faro di speranza per i più bisognosi.


Ma su questo tema, Carmen mostra un volto diverso. Qui non c’è rassegnazione, ma lotta. Con un lampo di determinazione negli occhi, racconta a Claudia che non ha intenzione di arrendersi. “Non sono rimasta a braccia conserte, sai? Ho cercato di muovere i fili, parlando con chiunque mi volesse ascoltare, cercando appoggi per cercare di convincerli a non chiuderla. Non sono ancora riuscita a far cambiare loro idea, ma non ho intenzione di mollare. Ci sto lavorando.”

Questa confessione rivela la vera essenza di Carmen. Forse non può cambiare le ingiustizie del suo lavoro, ma si rifiuta di rimanere impassibile di fronte ad altre ingiustizie che colpiscono i più vulnerabili. Claudia la osserva con un misto di ammirazione e preoccupazione, consapevole che la sua amica, con il suo cuore generoso, porta sempre un peso più grande di quello che le spetterebbe.

Un breve silenzio si instaura tra loro, uno spazio per digerire l’amara realtà che le circonda. La loro chiacchierata è stata molto più di una semplice lamentela lavorativa. È stato un ritratto intimo della frustrazione che sentono migliaia di lavoratrici ignorate e disprezzate dalle alte sfere. Claudia lo riassume in una frase carica di astio: “Sono stanca che siamo sempre le stesse a pagare il conto degli altri.” Carmen annuisce, il suo volto è una mappa di comprensione e stanchezza. “Siamo sempre noi quelle che tengono duro,” aggiunge.


Entrambe sanno che i problemi del negozio, il taglio degli stipendi e la chiusura della Casa Cuna non sono fatti isolati. Sono sintomi di un unico sistema malato, un sistema che privilegia i profitti al di sopra delle persone. Eppure, in mezzo a tutta quell’amarezza, la loro conversazione è anche un balsamo, un atto di solidarietà femminile. Si sostengono a vicenda, si comprendono senza bisogno di grandi discorsi. Nelle loro parole c’è rabbia, sì, ma anche un profondo affetto, rispetto e un desiderio condiviso di non lasciarsi vincere.

Carmen cerca di chiudere la conversazione con una nota di speranza, per quanto fragile. “Piano piano, vedrai che tutto si sistemerà,” dice, più per convincere se stessa che la sua amica. Claudia sospira, un misto di scetticismo e gratitudine. È grata di avere qualcuno con cui poter parlare senza filtri, senza paura. In un ambiente lavorativo dove il silenzio è spesso la norma per timore di ritorsioni, poter condividere il peso con una compagna fidata è un piccolo tesoro.

La scena si conclude con le due donne che tornano ai loro posti, riprendendo la routine, ma qualcosa è cambiato. La sensazione di aver condiviso qualcosa di importante, di reale, le ha rafforzate. La loro conversazione è stata una catarsi, un modo per ricordarsi a vicenda che non sono sole in questa silenziosa lotta. Anche se l’azienda le preme e le circostanze sono avverse, sanno di avere un rifugio nella loro amicizia, una forma di resistenza discreta, ma incrollabile.


E così, tra l’aroma del caffè e la sincerità delle loro parole, Carmen e Claudia diventano la voce di tante donne che giorno dopo giorno combattono contro le ingiustizie, con la speranza che un giorno le cose siano diverse. Perché, anche se il panorama sembra oscuro, loro sono ancora lì, a parlare, a sostenersi e a difendere l’idea che la dignità è l’unica cosa che non si può mettere in vendita.

Seconda Scena: La Farmacia e la Disperata Difesa di Gaspar


La seconda scena ci trasporta in un luogo tranquillo, probabilmente la farmacia o il negozio dove lavora Gaspar. L’atmosfera è cordiale fin dall’inizio, ma si percepisce uno strato di preoccupazione nell’aria, soprattutto da parte di Gaspar. Il suo obiettivo è chiaro: trovare un modo per aiutare Doña Begoña, che sembra trovarsi in una situazione complicata a causa di una decisione proveniente dall’alto, precisamente dalla direzione dell’azienda in Francia.

Gaspar inizia la sua difesa con un misto di ammirazione e profondo affetto. “Begoña e la dottoressa,” spiega alla sua interlocutrice, Chloe, “sono un team di cui non se ne trovano più. Un duo invincibile.” Sottolinea con veemenza che separarle sarebbe un errore madornale. Per lui, queste due donne sono molto più che impiegate efficienti. Sono il cuore di quel luogo. “Non è solo che lavorano bene insieme,” insiste, “si capiscono con uno sguardo, si completano alla perfezione, sia professionalmente che umanamente. Si prodigano per prendersi cura di tutti noi, sa?” Nella sua voce traspare un rispetto che va oltre la semplice camaraderia lavorativa. È gratitudine allo stato puro.

Chloe ascolta con attenzione educata, ma mantenendo una chiara distanza professionale. Cerca di evitare che la conversazione si sposti sul piano personale, ma Gaspar, con il suo entusiasmo contagioso, non si arrende. Non sta difendendo le sue colleghe solo per lealtà. Lo fa perché è fermamente convinto che il loro lavoro apporti un valore incalcolabile, un valore che si può vedere e toccare. Con un orgoglio evidente, inizia a parlare di una crema che hanno sviluppato loro stesse, una pomata che, secondo le sue parole, è “mano santa” per le ustioni. Non è un modo di dire. Lui crede davvero nella magia di quell’invenzione.


Con il suo carattere affabile e bonario, Gaspar si lancia a raccontare la sua esperienza personale. Narra con tutti i dettagli come quella crema gli sia stata prescritta. “Prima avevo le mani ridotte a un disastro per aver lavato e usato prodotti per la pulizia,” spiega. “Ma da quando uso questa pomata, mi sono rimaste lisce come la seta, senza una sola crepa.” In un impeto di spontaneità e sincerità, invita addirittura Chloe a toccargli le mani, cercando una prova fisica inconfutabile che ciò che dice sia vero. Il momento ha un misto di tenerezza e commedia, perché Gaspar si entusiasma così tanto che inizia a cercare in un cassetto. “Aspetti un attimo che glielo mostro,” dice con l’entusiasmo di chi sta per rivelare un tesoro.

Chloe osserva la scena con un’espressione che oscilla tra la sorpresa e la simpatia. Apprezza il fervore di Gaspar, l’autenticità con cui difende le sue colleghe. Il suo tono si addolcisce visibilmente e, dopo avergli toccato la mano, riconosce che la texture della crema è davvero meravigliosa.

Tuttavia, nonostante il gesto di Gaspar sembri averla commossa, Chloe non può fare alcuna promessa. La sua risposta è cortese, ma inequivocabile e ferma. “Mi dispiace, ma non posso disobbedire agli ordini che mi arrivano direttamente da Parigi.” Con quella frase traccia una linea chiara. La sua capacità decisionale è nulla. Lei è semplicemente la messaggera, l’incaricata di eseguire ordini decisi a chilometri di distanza, e, anche volendo, non ha il potere di cambiarli.


Gaspar accoglie la risposta con una delusione visibile, anche se cerca di nasconderla dietro un sorriso. In fondo era quello che si aspettava, ma una piccola parte di lui nutriva la speranza che la sua passione e i suoi argomenti potessero ammorbidire la posizione dell’azienda personificata da Chloe. Nonostante la battuta d’arresto, mantiene la sua amabilità e il suo buon umore.

Chloe, percependo la sua buona volontà, decide di concludere la conversazione in modo cordiale. “Mi copra velocemente, per favore, che ho un po’ fretta,” dice. Ma Gaspar, in un ultimo slancio del suo generoso carattere, si rifiuta categoricamente. “No, per favore, lo lasci. La casa invia, lo prenda come un regalo di benvenuto.” È un gesto piccolo, ma carico di profondo significato. È il suo modo di mostrarle ospitalità, di insegnarle che, in quel piccolo angolo del mondo, l’umanità e il rapporto umano sono ancora al di sopra delle fredde direttive aziendali.

Chloe ringrazia per il dettaglio con un sorriso sincero. Si nota che il gesto l’ha toccata. Gaspar, cogliendo l’opportunità, lancia un ultimo dardo con un tocco di maliziosa speranza. “Vediamo se questo piccolo dono l’aiuterà a riconsiderare la sua decisione su Doña Begoña,” dice, a metà tra una battuta e una supplica, con quell’incanto naturale che usa per lottare per ciò che ritiene giusto. Chloe, visibilmente divertita dalla sua insistenza, lo ringrazia ancora e si congeda con un cordiale “Buona giornata”.


Quando la porta si chiude dietro di lei, Gaspar rimane solo, a guardare il flacone che ha appena regalato. Mormora tra sé e sé, con un umorismo velato di rassegnazione. “In più mi rimango senza la mia crema, sono un genio.” Questa frase finale incapsula perfettamente il suo carattere. Una mescolanza di infinita bontà, un pizzico di ingenuità e un immenso affetto per i suoi cari. Ha fatto tutto ciò che era in suo potere per aiutare e, anche se non ha raggiunto il suo obiettivo, ha agito con una nobiltà e una dignità che lo innalzano.

Questo dialogo, sebbene breve e apparentemente banale, nasconde una grande profondità emotiva e sociale. Mette in luce l’eterno conflitto tra le persone e la burocrazia. Gaspar è l’incarnazione dell’empatia, della lealtà e del calore umano. Mentre Chloe, senza essere una persona cattiva, rappresenta la fredda autorità legata mani e piedi dalle regole imposte da Parigi. Lei non è insensibile, semplicemente fa parte di un ingranaggio gerarchico che non lascia spazio all’iniziativa personale né ai sentimenti. Attraverso la sua conversazione, viene valorizzato anche il lavoro femminile, in particolare quello di Begoña e della dottoressa. Loro non solo curano e si prendono cura, ma innovano, creano e migliorano la vita della loro comunità con il loro talento e il loro impegno. La crema è il simbolo di quel genio silenzioso che spesso passa inosservato e non riceve il riconoscimento che merita. Gaspar, con la sua sensibilità, è in grado di vederlo ed è per questo che le difende con tanta passione.

La scena ci insegna anche l’importanza dei piccoli gesti. Il regalo di Gaspar, il sorriso grato di Chloe, il modo in cui lui cerca di persuaderla facendo appello al suo cuore invece che alla sua autorità. Tutto ciò crea un momento commovente, una dimostrazione che, anche negli ambienti lavorativi più impersonali e rigidi, può sempre esserci uno spiraglio per la connessione umana.


Quando Gaspar rimane solo alla fine, a parlare con se stesso, lo spettatore non può fare a meno di provare una profonda simpatia per lui. È un uomo buono e semplice che ancora crede nel potere delle buone azioni, anche se la realtà si ostina a dimostrargli il contrario. Il suo commento finale, ironico e tenero, rivela la sua delusione, ma anche un ottimismo a prova di bomba. Anche se non è riuscito a cambiare nulla, il suo tentativo è stato puro e sincero, e solo per questo è ammirevole.

In definitiva, la conversazione tra Gaspar e Chloe non riguarda solo una crema o un ordine da Parigi. Riguarda lo scontro tra la logica del cuore e la ragione delle corporazioni, tra le norme fredde e i legami umani che ci uniscono. Gaspar difende coloro che lavorano con l’anima, mentre Chloe cerca di adempiere al suo dovere all’interno di un sistema inflessibile. Ma per un istante, tra loro si tende un piccolo ponte di comprensione, un momento in cui l’umanità riesce a imporsi sulla freddezza burocratica. E così, in appena pochi minuti, la scena riesce a trasmettere un potente messaggio sulla solidarietà, la gratitudine e la decenza, ricordandoci che i gesti più semplici, come regalare una crema o difendere un collega, possono avere un valore morale incalcolabile.