La Promessa: Leocadia e il Segreto che Affiora dalle Tenebre

Il silenzio che ha avvolto per anni i corridoi de “La Promessa” inizia a crepitare, minacciando di crollare sotto il peso di verità a lungo sepolte. Leocadia, la signora delle trame e delle apparenze, si trova sull’orlo di un baratro: ciò che credeva eternamente celato sta per venire alla luce, mettendo a repentaglio il fragile impero di manipolazioni che ha eretto. Il suo mondo, fatto di inganni e facciate impeccabili, rischia di dissolversi nel volgere di poche, fatidiche ore.

La conferma arriva in modo inequivocabile: il barone di Valladares ha sentenziato che Catalina non ha mai spedito la sua lettera ad Adriano. Questo scioccante annuncio fa scattare un allarme assordante nella mente di Leocadia. Qualcuno ha osato interferire, qualcuno ora sa troppo. L’ombra di un nemico invisibile incombe, più minacciosa che mai.

Nel frattempo, Angela, prigioniera di un destino che tenta disperatamente di sfuggire, è costretta a una pericolosa recita. Fingendo un avvicinamento a Beltrán, cerca di guadagnare tempo prezioso, di rimandare le imminenti nozze con Lorenzo, un matrimonio che significherebbe la sua rovina. Ma la sua farsa, per quanto abilmente orchestrata, non inganna tutti. Curro, percependo la verità dietro il suo gelido distacco, inizia a sospettare le vere ragioni del suo comportamento.


Enora, tormentata dal senso di colpa, cerca una redenzione impossibile agli occhi di Manuel e Toño, ma le ferite inflitte sono ancora aperte e dolenti. La distanza tra Martina e Jacobo si fa abisso incolmabile, un vuoto glaciale che nemmeno i tentativi di mediazione di Simona riescono a colmare. Tra confessioni sussurrate, alleanze infrante e segreti sull’orlo della rivelazione, il capitolo 704 de “La Promessa”, in onda il 27 ottobre, si preannuncia come un vero e proprio crogiolo di destini, un punto di svolta che metterà in serio pericolo tutti gli abitanti del palazzo.

Chi è stato l’audace individuo che ha osato sfidare Leocadia e quale prezzo pagherà per essersi avventurato troppo a fondo nei labirinti dei suoi segreti? Un’aria gelida, fuori luogo in un autunno che appena iniziava a spogliare gli alberi della valle dei Pedroches, sembra essersi insinuata tra le mura de “La Promessa”, non solo nei corridoi di pietra, ma soprattutto nell’anima dei suoi abitanti.

La notte del 27 ottobre 1913 non sarà una notte come le altre. Sarà il crogiolo in cui si forgeranno destini, si dissotterreranno segreti e si metteranno alla prova i cuori più afflitti. L’eco delle rivelazioni e delle tensioni della giornata vibra ancora nell’aria, una nota sospesa che minaccia di infrangersi in un fragore di conseguenze imprevedibili.


Per Leocadia, la signora dell’intrigo, il mondo si è ristretto a un’unica, lancinante domanda: Chi? La conferma del barone di Valladares è stata un colpo di maglio sulle fondamenta della sua fortezza inespugnabile. La lettera di Catalina ad Adriano non era stata spedita dalla giovane Luján. Qualcuno l’aveva intercettata, facendola arrivare a destinazione. Ma questo qualcuno, questo fantasma dotato di una conoscenza così intima e pericolosa delle sue macchinazioni, ora si aggira su di lei come un rapace in agguato. Il suo segreto più grande, la verità sulla paternità di Angela, un segreto custodito sotto sette chiavi per oltre due decenni, è esposto a una minaccia anonima.

Seduta nell’ombra della sua alcova, con lo sguardo fisso sulle fiamme danzanti del camino, Leocadia ripercorre ogni volto, ogni conversazione, ogni gesto. Chi ne “La Promessa” possiede l’audacia e l’intelligenza per orchestrare una simile mossa? Cristóbal, il maggiordomo, è un uomo dalle lealtà opache e dall’ambizione smodata. La sua complicità nel passato lo rende un custode pericoloso dei suoi segreti, ma tradirla ora? Per quale scopo? Petra? La devota e sofferente ancella sembra troppo prostrata per un simile ardito disegno. Eppure, Leocadia lo sa bene, il risentimento è un veleno che può trasformare il più docile degli agnelli in un serpente. O forse è qualcuno di completamente inaspettato? Un nemico sottovalutato, una pedina sulla scacchiera finora ignorata. L’incertezza è una tortura lenta, un veleno che si diffonde nelle sue vene, più potente di qualsiasi altro che abbia mai somministrato in vita sua. Il suo potere risiede nel controllo, nella conoscenza, e per la prima volta da molto tempo, si sente cieca, vulnerabile. Il cacciatore si è trasformato in preda.

Mentre sua madre si consuma nella paranoia, Angela combatte la sua battaglia silenziosa. Il consiglio di Curro, nato dalla più pura disperazione per salvarla da Lorenzo, si è trasformato nel suo nuovo, amaro calice. Comportarsi con gentilezza con Beltrán, sorridere, annuire, fingere un interesse che le graffia la gola. Ogni parola gentile è un tradimento del suo amore per Curro. Ogni sguardo complice, un spergiuro contro il suo stesso cuore. Beltrán, con l’entusiasmo di un cucciolo e l’inconsapevolezza della tempesta che si agita sotto la superficie, accoglie il suo cambio di atteggiamento con una gioia che ad Angela appare oscena. Quella sera, durante la cena, Beltrán le ha parlato dei suoi piani, della sua ammirazione per i Lujan, del suo desiderio di stabilirsi e formare una famiglia. E lei, attrice consumata dalla necessità, ha risposto con le frasi giuste, con l’inclinazione di testa precisa, con un sorriso che non le raggiungeva gli occhi.


Ma attraverso il tavolo, sentiva lo sguardo di Curro. Non era uno sguardo di gelosia, ma di un dolore così profondo e condiviso da spezzarle l’anima. La osservava con l’agonia di chi vede l’amore della sua vita camminare verso il patibolo, un patibolo che lui stesso aveva contribuito a costruire. Era un sacrificio reciproco, un patto sigillato con lacrime invisibili, e il peso era quasi insostenibile.

Quando la cena si concluse e i signori si ritirarono nei loro saloni, Angela cercò un istante di solitudine nella galleria che dava sui giardini oscuri. L’aria fredda della notte era un balsamo per la sua pelle febbricitante. Dei passi leggeri alle sue spalle la allertarono. Era lui. “Non dovresti essere qui,” sussurrò senza voltarsi. “Se ci vedono…” “Solo un minuto.” La voce di Curro era un’implorazione spezzata. “Ho bisogno di sapere se stai bene.” Angela si voltò. Alla luce della luna, il viso di Curro era segnato da un’angoscia che era lo specchio della sua. “Sto interpretando la mia parte come mi hai chiesto,” disse la sua voce tinta di un’amarezza che non poté reprimere. “Sono la promessa docile e affascinante.” “Non è quello che volevi, Angela. L’ho fatto per proteggerti.” “Lorenzo, lo so,” lo interruppe, e i suoi occhi si riempirono di lacrime. “Lo so, Curro. E ti odio per questo. E odio me stessa per capirlo. Ogni secondo che passo con Beltrán è un inferno. Sento come se mi stessero strappando la pelle a brandelli.” Curro fece un passo verso di lei, le mani desiderose di toccarla, di consolarla, ma si fermò. Prigioniero della distanza imposta. “Troveremo una via d’uscita. Ti giuro che troveremo il modo di stare insieme. Questo è solo temporaneo.” “Temporaneo,” rise lei, una risata priva di gioia. “Mia madre non si fermerà finché non mi vedrà sposata con lui. Crede che così assicuri il nostro futuro. Non conosce la verità, Curro. Non sa che l’unico futuro che voglio è con te.”

Improvvisamente, un rumore nel giardino li fece tacere. Un ramo spezzato, un movimento tra le ombre. Si guardarono, il panico riflesso nei loro occhi. Qualcuno li aveva ascoltati. La sensazione di essere osservati, la stessa che tormentava Leocadia, ora li avvolgeva, gelandoli fino alle ossa. Non era solo il loro amore a essere in gioco, ma la loro stessa sicurezza in una casa dove le pareti sentivano e i segreti erano merce di scambio.


In un’altra ala del palazzo, la tensione tra Martina e Jacobo aveva raggiunto un punto di non ritorno. La cena era stata un esercizio di diplomazia forzata, uno scambio di frasi vuote che non riuscivano a nascondere l’abisso che si era aperto tra loro. Martina sentiva il peso del suo impegno come una lastra tombale. Jacobo, un tempo l’uomo che le prometteva un futuro di complicità e risate, si era trasformato in uno sconosciuto, un uomo la cui presenza la opprimeva, i cui sospetti la soffocavano. La distanza emotiva era ora un muro di ghiaccio invalicabile. Dopo essersi ritirati nei loro appartamenti, la discussione esplose inevitabile e virulenta.

“Cosa ti succede, Martina?” domandò Jacobo, chiudendo la porta con più forza del necessario. “Mi tratti da settimane con una freddezza che non merito. È per Adriano. Pensi ancora a lui?” “Questo non ha niente a che fare con Adriano,” replicò Martina, la voce tremante di frustrazione. “Ha a che fare con te, Jacobo, con la tua sfiducia, con il tuo bisogno di controllare tutto. Non riesco a respirare.” “Ti do tutto ciò che una donna potrebbe desiderare,” esclamò lui avvicinandosi a lei. “Un titolo, una posizione, sicurezza. E così mi ripaghi flirtando con il primo avventuriero che ti capita a tiro.” “Io non flirto con nessuno!” gridò Martina indietreggiando. “Forse il problema è che la sicurezza che offri si è trasformata nella mia gabbia. Non ti sposerò, Jacobo. Non così.” La dichiarazione rimase sospesa nell’aria, carica di una finalità terrificante. Il volto di Jacobo si contrasse in una maschera di furia e dispetto. “Non mi sposerai, sibilò. La sua voce si abbassò a un sussurro minaccioso. Pensi che sia così facile? Pensi di poter sciogliere gli impegni, umiliare la mia famiglia e uscirne illesa? Sei un’ingenua, Martina. Hai dimenticato con chi hai a che fare?” Prima che potesse reagire, Jacobo uscì dalla stanza sbattendo la porta con un tonfo che risuonò come uno sparo nella quiete della notte. Martina rimase sola, tremante, non di paura, ma di una strana e liberatoria certezza. Aveva detto la verità, aveva spezzato le catene, ma una parte di lei, una voce fredda e piccola dentro di lei, le avvertì che la vendetta di un uomo come Jacobo sarebbe stata implacabile quanto il suo orgoglio ferito.

Nel frattempo, nella zona del servizio, la confessione di María Fernández continuava a causare reazioni a catena. Samuel, il giovane valletto, si sentiva alla deriva. La notizia che il figlio che María aspettava non era suo, ma frutto di una notte di eccessi alla fiera, lo aveva colpito con la forza di un ciclone. Il suo amore per lei, un amore che credeva solido e ricambiato, vacillava su fondamenta di sabbia. Senza sapere come elaborare il proprio dolore, aveva cercato conforto nel compito di consolare gli altri. Trovò Catalina in biblioteca, assorta nei libri dei conti della tenuta, cercando un respiro alle sue tribolazioni. “Signorina Catalina,” disse Samuel, la voce appena un mormorio. “State bene?” Catalina alzò lo sguardo, i suoi occhi rivelavano una stanchezza che andava oltre le lunghe giornate di lavoro. “Come si può stare, Samuel, preoccupata per mio padre, per la tenuta e per lettere che non giungono mai a destinazione.” Samuel annuì, comprendendo l’alluzione. La notizia della lettera intercettata si era diffusa a macchia d’olio. “Quello che è successo a María,” iniziò a dire, il bisogno di sfogarsi superando la sua discrezione. “Mi ha confessato che il figlio non è mio.” Catalina lo guardò con genuina compassione. Lasciò cadere la penna e gli fece cenno di sedersi. “Mi dispiace molto, Samuel. Deve essere molto difficile.” “Lo è,” ammise lui, la voce spezzata. “La amo, signorina. O credevo di amarla. Ora è tutto confusione. Non so cosa provare, cosa pensare.” “Il cuore ha ragioni che la ragione non comprende,” disse Catalina, la sua voce dolce. “A volte l’amore non consiste nel capire, ma nell’accettare. María ha commesso un errore, ma questo non annulla tutto il bene che c’è in lei. La domanda che devi farti non è se puoi perdonarla, ma se puoi vivere senza di lei.” Le parole di Catalina, sagge e serene, penetrarono a fondo nell’anima tormentata di Samuel. Non gli offrivano una soluzione facile, ma gli davano una prospettiva, un cammino attraverso la nebbia del suo dolore. Forse l’amore vero non era un porto sicuro, ma una traversata coraggiosa attraverso le tempeste.


Non molto lontano, Simona, la cuoca dal cuore grande quanto le sue pietanze, si avvicinò a Toño con la delicatezza di una madre. La confessione di Enora sul tentativo di vendita del motore aveva lasciato Manuel con una ferita di tradimento profonda, ma Simona vedeva oltre l’atto. Vedeva la disperazione che l’aveva motivata. “Toño, figlio,” disse mentre lui affilava coltelli con una precisione quasi violenta. “So che siete feriti con Enora e a ragione, ma la ragazza è sola e spaventata. La disperazione economica può portare la gente a fare follie.” “Ci ha tradito, Simona,” replicò Toño senza alzare lo sguardo dal suo compito. “Ha tradito Manuel, che si è fidato di lei. Questo non ha scuse.” “La scusa no, ma forse il perdono sì. Manuel è un uomo buono, ma il suo orgoglio da marchese a volte lo acceca. Non ti dico di dimenticare quello che ha fatto, ma di guardare alla persona che c’è dietro. A volte offrire una mano non è segno di debolezza, ma di forza.” Toño fermò il movimento dell’affilacoltelli. Le parole di Simona avevano sempre il potere di trovare una crepa nella sua armatura. Voleva aiutare Enora. Nonostante tutto, vedeva la sua fragilità, il suo pentimento, ma la lealtà verso Manuel, il suo amico, il suo fratello, pesava di più. Era intrappolato tra la compassione e la lealtà, una posizione scomoda quanto il filo del coltello che teneva in mano.

La notte avanzava, tessendo la sua rete di segreti e presagi. Al piano nobile, Pía Adarre, la governante, prendeva una decisione rischiosa. La crudeltà con cui Cristóbal trattava Petra, esigendole un ritorno alle sue funzioni che il suo corpo e il suo spirito non potevano sopportare, aveva acceso in lei una fiamma di giusta indignazione. Sapeva che affrontare direttamente il maggiordomo era pericoloso, ma non poteva restare a braccia conserte. Bussò alla porta dello studio di Cristóbal. La voce del maggiordomo, secca e tagliente, la invitò a entrare. “Signor Cristóbal,” iniziò Pía, mantenendo la calma nonostante il battito accelerato. “Vengo a parlarle di Petra. La donna non è in condizioni di assumere tutte le sue responsabilità. Forzarla in questo modo è disumano.” Cristóbal alzò lo sguardo dai suoi documenti. I suoi occhi piccoli e freddi la scrutarono senza un briciolo di empatia. “Signora Adarre, le mie decisioni sul personale a mio carico non sono di sua competenza. Petra ha degli obblighi e deve adempierli. Se non può, forse il suo posto non è più ne ‘La Promessa’.” “È una donna che serve questa casa da anni,” protestò Pía, la sua voce acquistando fermezza. “Non merita un minimo di compassione.” “La compassione non gestisce una tenuta,” replicò lui alzandosi dalla sedia. Le si avvicinò, la sua presenza risultando intimidatoria. “Le suggerisco di occuparsi delle sue faccende e lasciarmi le mie.” “A meno, naturalmente, che non voglia condividere il destino di Petra.” La minaccia velata fluttuò tra loro, carica di veleno. Ma allora Pía fece qualcosa di inaspettato. Invece di ritirarsi, sostenne il suo sguardo. “So che lei e la signora Leocadia condividete certi interessi,” disse Pía, la sua voce abbassandosi a un sussurro carico di significato. “Interessi che vanno oltre la buona gestione del palazzo. Forse una dimostrazione di clemenza verso Petra sarebbe un buon modo per assicurare che certi segreti… rimangano ben custoditi.” Il volto di Cristóbal cambiò. L’arroganza lasciò il posto a una sorpresa gelida, seguita da una furia a malapena contenuta. Aveva toccato un nervo scoperto. La menzione di Leocadia, unita alla parola segreti, era stata un colpo nel buio. “Non sa con chi sta ficcando il naso, Adarre,” sibilò lui. “Al contrario,” rispose Pía, il cuore che le martellava contro le costole, ma la sua voce ferma come l’acciaio. “Credo di iniziare a saperlo perfettamente. Ci pensi, signor Cristóbal, un po’ di gentilezza può comprare molto silenzio.” Senza aspettare risposta, Pía si voltò e uscì dallo studio, lasciando un Cristóbal livido e sconcertato alle sue spalle. Aveva giocato una carta pericolosa, un bluff basato su sospetti e voci, ma la reazione del maggiordomo le aveva confermato che il suo istinto non l’aveva tradita. C’era un legame oscuro tra lui e Leocadia, e quel legame era ora la sua unica arma per proteggere Petra.

La notte, tuttavia, serbava il suo colpo più brutale per Leocadia. Mentre la casa sprofondava in un silenzio teso, qualcuno fece scivolare una nota sotto la porta della sua alcova. Un semplice pezzo di carta piegato con mani tremanti. Leocadia lo raccolse. Non c’era mittente. Lo aprì. Conteneva un’unica frase scritta con una calligrafia elegante e sconosciuta: “So chi è il padre di Angela e so che anche tu lo sai. Cristóbal.” L’aria abbandonò i polmoni di Leocadia. Il mondo si fermò. Non era una domanda, era un’affermazione e un errore. L’autore della nota credeva che lei e Cristóbal condividessero il segreto, ma la nota era indirizzata a lei. Era una trappola, un modo per seminare discordia, per metterli l’uno contro l’altro, ma il contenuto era devastante. Il suo segreto più profondo, la verità che aveva protetto con le unghie e con i denti, la menzogna su cui aveva costruito la vita di sua figlia, non era più suo. Qualcun altro la possedeva e quel qualcuno era lì ne “La Promessa”, che giocava con lei come un gatto con un topo. La sensazione di vulnerabilità si trasformò in un terrore puro e paralizzante. Il nemico non solo conosceva il suo segreto, ma conosceva anche il suo rapporto con Cristóbal. Era completamente esposta. Un turbine di pensieri le assalì la mente. Chi avrebbe potuto mettere insieme i pezzi? Solo una persona, oltre a lei e al già defunto barone, conosceva la verità: la levatrice che aveva assistito al parto di Angela, una donna a cui aveva pagato generosamente per il suo silenzio e che era scomparsa dalla mappa anni prima. Potrebbe essere tornata o aver confidato il segreto a qualcuno prima di morire? La risposta arrivò in modo completamente inaspettato. Mentre il panico minacciava di consumarla, un ricordo fugace, un’immagine sfocata di molti anni prima emerse dalle profondità della sua memoria. Una giovane ancella, quasi una bambina, che lavorava nella casa all’epoca. Una ragazza curiosa, sempre in ascolto alle porte, con una memoria prodigiosa per i dettagli. Ricordò di averla licenziata per un piccolo furto, un pretesto per allontanarla dalla casa. Come si chiamava? Il nome le venne in mente come un lampo. Pía. Pía Adarre. La governante, la donna che si mostrava discreta, efficiente, quasi invisibile, la stessa che aveva appena affrontato Cristóbal. Leocadia sentì un brivido correrle lungo la schiena. Poteva essere. Quella giovane ancella avrebbe potuto aver sentito qualcosa, aver conservato quell’informazione per anni, aspettando il momento opportuno per usarla. L’audacia di Pía nell’affrontare Cristóbal assumeva ora un nuovo e sinistro significato. Non era un bluff, era un avvertimento. In quell’istante, la macchina della mente di Leocadia, paralizzata dalla paura, tornò a mettersi in moto. Il terrore fu sostituito da una furia fredda e calcolatrice. Aveva sottovalutato Pía Adarre. Un errore fatale, ma ora che conosceva il suo nemico, il gioco cambiava. Non era più la preda cieca, era la cacciatrice che aveva identificato il suo obiettivo. E Leocadia Figueroa non lasciava mai scappare le sue prede.


La mattina seguente sorse con una luce pallida e ingannevole, promettendo una calma ben lontana dalla realtà. Per gli abitanti de “La Promessa”, la notte era stata un catalizzatore. Pía Adarre, ignara di essere diventata il fulcro dell’ira di Leocadia, notò un cambiamento immediato. Scendendo in cucina, trovò Petra seduta al tavolo con una tazza di brodo caldo tra le mani, e Cristóbal non era da nessuna parte. Simona le riferì in un sussurro che il maggiordomo aveva concesso a Petra altri due giorni di riposo assoluto. La minaccia di Pía aveva funzionato, almeno per ora, una piccola vittoria che, tuttavia, la riempiva di inquietudine. Sapeva di aver risvegliato una bestia.

Il vero shock, tuttavia, stava per arrivare. A metà mattinata, un’auto di cavalli lussuosa e sconosciuta giunse a “La Promessa”. Da essa discese un uomo di mezza età, di portamento distinto e volto severo, accompagnato da una giovane donna, di bellezza fragile e occhi tristi. Nessuno li aspettava. L’uomo si presentò nel salone principale davanti ai marchesi di Luján, che lo accolsero con sconcerto. “Il mio nome è don Ramiro de la Vega, conte di Zúñiga,” annunciò con voce grave. “E questa è mia nipote, la signorina Inés de la Vega. Veniamo per una questione di somma urgenza che concerne don Jacobo.” In quel preciso istante, Jacobo entrava nel salone. Vedendo i nuovi arrivati, il suo volto divenne bianco come un lenzuolo. Il colore fuggì dalle sue guance e un’espressione di puro terrore si impadronì delle sue fattezze. “Zio Inés, cosa ci fate qui?” balbettò. “Siamo venuti a impedire un’atrocità, Jacobo,” disse il conte, la sua voce echeggiando nel silenzio teso. “Abbiamo saputo del tuo fidanzamento con la signorina de Lujan. Un fidanzamento che non può avere luogo, poiché tu, nipote, sei già sposato.” La bomba esplose nel salone con la forza di una deflagrazione. Martina, che era entrata giusto in tempo per ascoltare la rivelazione, rimase paralizzata. Il marchese e la marchesa guardavano da Jacobo al conte increduli. “Sei sposato,” sussurrò Martina, la voce spezzata dall’incredulità e da una strana ondata di sollievo. “Sposato con mia figlia, Inés,” continuò il conte implacabile. “Un matrimonio segreto che hai contratto due anni fa, prima che la sua malattia la inchiodasse in un sanatorio. Un matrimonio che hai nascosto per poter cacciare una dote più sostanziosa. Ma è finita, Jacobo. Il tuo inganno è terminato.” Jacobo, smascherato e umiliato, non riuscì ad articolare parola. Il suo mondo di bugie si era sgretolato ai suoi piedi. Per Martina fu la liberazione definitiva, una via d’uscita al suo dilemma che non avrebbe mai immaginato. La fine del suo tormento era arrivata su una carrozza inaspettata. La notizia dell’inganno di Jacobo corse per la casa come un incendio, eclissando le altre tensioni.

Ma per Leocadia, era solo una distrazione. Il suo obiettivo era Pía, decise di agire con la sottigliezza di una ragna. Invece di un confronto diretto, tessé una rete attorno a lei. Quel pomeriggio, mentre Pía supervisionava la pulizia dell’argenteria, Leocadia le si avvicinò con un sorriso amabile che non trovò eco nei suoi occhi. “Pía, cara, ho sentito della tua preoccupazione per la povera Petra. È un gesto molto nobile da parte tua,” iniziò la sua voce melosa. “Dimostra la grande anima che possiedi. Sei un pilastro in questa casa. Non so cosa faremmo senza di te.” Pía, diffidente, si limitò ad annuire. “Infatti,” continuò Leocadia. “Ho pensato che il tuo talento fosse sprecato. Mi piacerebbe che tu diventassi la mia assistente personale. Saresti al mio fianco aiutandomi con la mia corrispondenza, i miei affari. Saresti la mia mano destra, la mia confidente.” L’offerta era un serpente travestito da ramo d’ulivo. Pía capì all’istante. Leocadia voleva averla vicina, sorvegliarla, controllarla. Accettare sarebbe stato entrare nella bocca del lupo. Rifiutare, una dichiarazione di guerra. “È un grande onore, signora,” rispose Pía, scegliendo con cura le parole. “Ma il mio posto è qui con il resto del servizio. Sono la governante. È il mio dovere e la mia vocazione.” Leocadia mantenne il sorriso, ma i suoi occhi si indurirono. “Pensaci, Pía. Un’opportunità così non si presenta due volte.” La minaccia era chiara. Ma Pía aveva preso una decisione, non si sarebbe lasciata intimidire.


Il vero colpo di scena verso un lieto fine, tuttavia, provenne dalla fonte più inaspettata. Curro, disperato nel cercare una via d’uscita per sé e per Angela, aveva passato la notte in bianco cercando una soluzione, una crepa nel piano di Leocadia. E allora ricordò qualcosa, una conversazione che aveva sentito in passato tra Beltrán e Jacobo. Parlavano di affari, di investimenti, di alcune miniere al nord che si erano rivelate una truffa e in cui Beltrán aveva perso una fortuna. Mosso da un impulso, Curro cercò Beltrán. Lo trovò passeggiando nei giardini, ignaro della tempesta che si era scatenata con l’arrivo della famiglia di Jacobo. “Don Beltrán,” gli disse Curro con il cuore in gola. “Ho bisogno di parlarle. È del suo futuro e di quello della signorina Angela.” Curro gli raccontò tutto. Il suo amore per Angela, il piano di Leocadia di farli sposare, la minaccia di Lorenzo. Fu brutalmente onesto e poi giocò la sua unica carta. “So che lei non ama Angela. La vede come una buona opportunità, un’alleanza con una famiglia influente, ma so anche che la sua situazione economica è precaria. Le miniere…” Beltrán lo guardò sorpreso e allarmato. “Come fa lei a saperlo?” “I muri de ‘La Promessa’ hanno orecchie,” disse Curro. “Le propongo un accordo. Io le fornirò la somma di denaro che ha perso in quell’investimento. Abbastanza perché possa rifarsi una vita lontano da qui, lontano da matrimoni di convenienza. In cambio, lei deve rifiutare Angela. Deve dire a sua madre che non la sposerà, che il suo cuore appartiene a un’altra.” Beltrán lo guardò con scetticismo. “E da dove prenderà un valletto una simile somma di denaro?” “Ho le mie risorse,” rispose Curro, pensando a un’eredità della sua vera madre che aveva scoperto di recente e che non aveva ancora reclamato. “È la mia unica possibilità di essere felice e l’unica possibilità di Angela, per favore.” Beltrán lo osservò per un lungo momento. Vide la disperazione e l’amore sincero negli occhi del giovane. Lui non era un uomo malvagio, solo un uomo messo all’angolo dalle circostanze. La proposta di Curro era una via d’uscita onorevole, un’opportunità per ricominciare, senza legami o inganni. “Va bene,” disse Beltrán infine con un mezzo sorriso. “Riconosco che l’idea di un matrimonio senza amore non mi entusiasmava, ma il tuo amore per lei è degno di ammirazione. Accetto l’accordo.”

Quello stesso pomeriggio, Beltrán comunicò la sua decisione a una stupefatta Leocadia. Le parlò di un amore perduto, di una promessa fatta a un’altra donna, argomenti contro cui Leocadia non poteva lottare. Il suo piano si sgretolava. Con Lorenzo nuovamente come unica e terribile opzione, l’ira di Leocadia si concentrò su un unico obiettivo: trovare una nuova soluzione, più rapida, più definitiva.

Il lieto fine, tuttavia, aveva già messo radici. Con Jacobo smascherato e sul punto di essere cacciato da “La Promessa”, e con Beltrán fuori gioco per sua stessa volontà, Angela e Curro videro per la prima volta uno spiraglio di luce. Il loro cammino non sarebbe stato facile. Leocadia non si sarebbe arresa e Lorenzo sarebbe rimasto una minaccia. Ma avevano guadagnato tempo. Avevano dimostrato che il loro amore era più forte delle intrighi. Quella notte si incontrarono di nuovo nella galleria, sotto la stessa luna che la notte precedente era stata testimone della loro disperazione. “Ci sei riuscito,” sussurrò Angela, i suoi occhi brillanti di ammirazione e amore. “Ci siamo riusciti,” corresse Curro, prendendo finalmente la sua mano.


Insieme, nel frattempo, in cucina, Samuel si avvicinò a María Fernández. L’aveva osservata tutto il giorno. Aveva visto la sua paura, il suo pentimento. Le parole di Catalina risuonavano nella sua testa. “María,” disse la sua voce dolce. “Non so cosa ci riserverà il futuro. Non so se potrò dimenticare, ma so che non voglio affrontarlo senza di te. Sarò il padre di quel bambino. Il nostro bambino, se mi accetti.” Le lacrime scorrevano sulle guance di María, ma questa volta erano lacrime di sollievo, di gratitudine. Si gettò tra le sue braccia e in quell’abbraccio sigillarono un nuovo inizio, uno basato, non sulla perfezione, ma sull’imperfetta e meravigliosa capacità umana di perdonare e amare.

“La Promessa” celava ancora delle ombre. La guerra tra Pía e Leocadia era appena iniziata. Il tradimento di Enora feriva ancora il cuore di Manuel, ma nel mezzo dell’intrigo, piccole vittorie del cuore erano fiorite. L’amore di Curro e Angela aveva trovato un respiro. La menzogna di Jacobo aveva liberato Martina e il perdono di Samuel aveva salvato María. La notte stava finendo e con l’alba arrivava la promessa che, anche nei luoghi più oscuri, la felicità, se si lotta per essa, può sempre trovare un cammino. Il bene, per una volta, sembrava star vincendo la battaglia.