LA FORZA DI UNA DONNA: Lutto, Accuse e Follia in Ospedale – Muore Hatice, Şirin Travolge Arif: “È colpa tua!”
Una Notte di Terrore e Disperazione che Sconvolge le Vite: Urla, Sangue e Accuse nel Corridoio dell’Ospedale. La Fragilità Umana messa a Nudo.
L’aria nell’ospedale si fa improvvisamente pesante, carica di un terrore palpabile, mentre sirene ululano nella notte come presagi di sventura. Şirin irrompe nel nosocomio con la disperazione di chi fugge da un incubo incombente, i capelli sciolti sul viso, gli occhi che cercano disperatamente un punto di riferimento in quel labirinto di corridoi bianchi e sterili. La sua fuga si arresta solo quando, in fondo al corridoio, scorge la figura rigida della dottoressa Yale, una statua di ghiaccio sotto la luce cruda, testimone silente di troppe tragedie.
“Dove? È mia madre?” La voce di Şirin si spezza, riducendosi a un respiro strozzato, un sussurro che lotta per farsi udire. La dottoressa Yale, con la fermezza di chi ha imparato a compartimentare il dolore, la invita a sedersi, il suo sguardo carico del peso di innumerevoli notti insonni, passate a dare la stessa, inesorabile notizia a troppi figli. “È in sala operatoria. L’intervento è complesso, ma stiamo facendo tutto il possibile.” Parole precise, chirurgiche, che però affondano in un abisso di terrore. Şirin annuisce, ma le parole si perdono nell’eco del suo sgomento. Si lascia cadere su una sedia, stringendo il camice della dottoressa come se potesse trattenerla nel fragile confine della realtà.

Nel frattempo, il padre, Enver, collassa sotto il peso della notizia. “Abbiamo dovuto sedarlo,” spiega Yale con voce sommessa. “Non riusciva a respirare da quanto piangeva. Non accettava quello che è successo.” Un silenzio carico di angoscia cala sulla stanza, rotto solo dal suono lontano e sinistro di una sedia a rotelle che si avvicina, un lento presagio di ulteriori tormenti.
Quando Şirin alza lo sguardo e vede Arif avvicinarsi, qualcosa dentro di lei implode. Le sue gambe si muovono prima del pensiero, un impeto di rabbia irrazionale la spinge verso di lui. Lo colpisce, urlando parole che nemmeno lei comprende fino in fondo, il caos che le si agita dentro. “Perché tu? Perché tu sei vivo?” Gli infermieri tentano di fermarla, ma la sua furia è inarrestabile, alimentata dalla paura e dal dolore. Kismet cerca di intervenire, ma Şirin lo respinge con forza. Le sue mani tremano, le parole sono schegge di vetro affilato. “Tu volevi distruggere tutto! Hai rovinato Sarp, hai rovinato Bahar…” La frase rimane sospesa, muore in gola. In fondo al corridoio, Enver osserva la scena, senza parlare, senza chiedere, il suo sguardo carico di una sofferenza che sembra spezzare ogni cosa. Lentamente, il suo corpo cede, crolla come una porta che si chiude da sola.
Ore dopo, Enver si risveglia in un letto d’ospedale che non è casa. I monitor scandiscono il suo respiro, regolare ma fragile. Chiede a Yale di togliergli i calmanti, di non lasciarlo nell’oscurità. La dottoressa cerca di convincerlo a riposare, ma lui ha già deciso. “Portate Arif qui accanto a me, non voglio stare da solo.”

La voce di Şirin esplode in un grido di disperazione: “Papà, no! Non puoi! Non puoi dormire accanto a chi?”
“Basta,” la interrompe Yale, ferma come una lama. “Tuo padre è debole. Se lo stress gli provoca un’altra crisi, potresti perderlo anche tu.” Şirin si blocca, il viso le si svuota di sangue. È la prima volta che tace davvero, gli occhi fissi sul pavimento, come se volesse sprofondarci dentro. Yale la osserva un istante ancora, poi si volta e lascia la stanza.
Fuori, la notte si è fatta densa. L’asfalto brilla sotto la pioggia battente, le luci dei fari si allungano come vene luminose. Şirin corre senza sapere dove, le lacrime che si mescolano all’acqua gelida. Emre la insegue, le grida di fermarsi, ma lei non sente. Un’auto frena bruscamente, il suono acuto dei pneumatici che squarcia la scena. Emre la afferra un attimo prima che il mondo le crolli addosso.

Il telefono di Ceida vibra. È la nonna di Arda. Rifiuta la chiamata. Poco dopo, squilla di nuovo sua madre. Ceida la guarda senza rispondere. “Se chiami adesso è perché è successo qualcosa che non voglio sapere.” Chiude gli occhi, lascia cadere il telefono nella pozzanghera dove il suo riflesso si frantuma.
All’interno dell’ospedale, il tempo sembra essersi fermato. I monitor emettono la loro musica fredda, la pioggia picchietta sui vetri. Tutti aspettano qualcosa, ma nessuno sa più cosa. Solo il suono di un cuore che resiste, di un respiro che continua, di un silenzio che cresce come una seconda pelle.
Nella stanza d’ospedale, Arif è ora accanto a Enver. Kismet riceve una telefonata e si allontana per rispondere. Nella stanza resta solo il rumore lento dei monitor. Şirin si avvicina, le mani intrecciate, lo sguardo basso. Chiede scusa ad Arif per averlo aggredito. Lui la guarda confuso, ammettendo di non ricordare nulla. “Forse ha ragione lei, forse la colpa è davvero sua,” mormora. Enver si gira, li osserva in silenzio, poi chiede di non parlare più dell’incidente, vuole solo sapere dei bambini.

Yale entra e spiega che Ceida non è con loro, che secondo Emre suo figlio è scomparso. Enver impallidisce. Chiede allora chi si stia prendendo cura di Nisan, Doruk e Talat. Guarda Şirin negli occhi e le ordina di tornare a casa, di occuparsi dei nipoti, ma di non dire nulla sull’incidente. Deve solo dire che tutti sono impegnati, che presto torneranno. Şirin annuisce, la voce spezzata, e promette che lo farà. Poi, prima di uscire, chiede al padre di chiamarla appena avrà notizie di sua madre. Dietro di lei, il corridoio resta sospeso in un silenzio che pesa come una condanna.
Enver, solo nella stanza d’ospedale, fissa il soffitto con lo sguardo spento. Le parole di Yale gli rimbombano nella testa, ma ciò che lo preoccupa di più sono i bambini. Si volta verso Şirin e le chiede chi si stia occupando di Missan, Doruk e Talat. Quando capisce che nessuno lo sa, le ordina di tornare subito a casa. Deve stare con loro, farli mangiare, farli dormire, dire che tutti sono solo molto impegnati. Nessuna parola sull’incidente. Şirin annuisce, gli promette che lo chiamerà appena saprà qualcosa di Hatice. Appena lascia la stanza, Enver sospira. Il silenzio che resta è pesante, come il respiro che gli manca.
Nel frattempo, in un’altra parte della città, Kismet parla al telefono con tono urgente. Chiama Yusuf e gli racconta tutto. L’uomo scatta dalla sedia, esce dalla caffetteria dove Talat sta badando ai bambini e corre verso di loro. Le parole gli escono a pezzi. “Arif ha avuto un incidente. Dobbiamo andare in ospedale.” I bambini lo guardano impietriti. Yusuf aggiunge che suo figlio non è in pericolo di vita, ma gli altri passeggeri sono gravi. Talat cerca di mantenere la calma, ma Nisan e Doruk sono sotto shock. Il piccolo la tira per la mano implorando di dire che non è vero. Yusuf perde la pazienza, accusa Bahar di essere la causa di tutto, di aver portato solo disgrazie e se ne va deciso a raggiungere l’ospedale. Nisan prova a fermarlo, gli chiede di portarli con sé, ma lui non si volta nemmeno. Allora i due bambini fuggono spaventati e soli, ma lungo la strada si imbattono nella zia Şirin.

Nel frattempo, nella sala operatoria, la luce fredda taglia il silenzio. Bahar, Sarp e Hatice sono ancora stesi sotto i ferri. Il respiro delle macchine scandisce il ritmo dell’attesa. Sarp sogna, immerso in un mondo che non esiste. Nel sogno, è vestito di bianco. Bahar gli cammina accanto come una sposa, gli bacia la fronte, gli sussurra parole che non si sentono ma che riempiono l’aria di malinconia. Poi Bahar si volta, lo guarda un’ultima volta e si allontana verso Arif. Si prendono per mano e camminano insieme verso l’altare, i bambini dietro di loro sorridenti. Sarp tenta di seguirli, ma Hatice ed Enver gli sbarrano la strada. Il suo corpo si muove appena, un braccio che si solleva come per trattenerla. Poi l’immagine svanisce e il suono delle macchine torna a riempire tutto.
Poco dopo, vediamo Şirin nell’appartamento di Bahar. I bambini la fissano pieni di domande. Lei perde la calma. Urla che Sarp è già uscito dall’intervento, mentre Bahar e Hatice sono ancora in sala operatoria. Doruk, curioso, le chiede se i medici tagliano le persone durante l’operazione. Şirin scatta, risponde che sì, le tagliano. “E male.” Nisan lo guarda e cerca di rassicurarlo dicendo che lo fanno solo per curarle.
Il telefono di Şirin vibra. È Enver. Le dice che Bahar è uscita dalla terapia intensiva, ma Hatice è ancora in sala operatoria. Le chiede di passargli i nipoti. Şirin resta immobile, incapace di credere che ci siano buone notizie per Bahar, ma non per sua madre. Porge il telefono a Nisan. La bambina ascolta la voce del nonno, poi sorride. “La mamma è fuori pericolo.” Chiude la chiamata e lo annuncia al fratello. I due si abbracciano, saltano dalla gioia, mentre Şirin resta seduta in salotto, lo sguardo perso senza lacrime, come se dentro di lei si fosse spento qualcosa.

All’ospedale, Arif parla con Kismet. La donna prende appunti, cerca di tenere tutto sotto controllo. Arif dice che non ricorda nulla, che forse ha davvero colpa. Kismet resta fredda, ma gli spiega che un testimone ha detto di averlo visto passare col rosso. Arif si agita, chiede cosa succederà. In quel momento entra Yusuf, il volto duro, e chiede al figlio di fidarsi di sua sorella. Kismet li osserva entrambi e dice che se una delle tre persone ferite dovesse morire, Arif finirà in tribunale. Lui urla che accetterà qualsiasi pena, perché era lui alla guida. Kismet lo invita a calmarsi, gli consiglia di dire che non ricorda nulla, poi esce dalla stanza con Yusuf e nel corridoio gli confessa che i testimoni sono due. Non lo ha detto prima per evitare un’altra crisi. Yusuf stringe la mascella, le chiede se davvero suo figlio ha oltrepassato il semaforo con il rosso. Lei annuisce, dice che dovranno pagarli per farli tacere, altrimenti lo denunceranno. Yusuf chiede di tutto: i conti dell’ospedale, l’autodistruzione, i danni. Kismet non risponde, lo guarda solo e gli chiede di tornare a casa. Cammina via lungo il corridoio e si ferma davanti a Yale. Le chiede notizie. La dottoressa risponde che Sarp e Bahar sono usciti dalle operazioni, ma Hatice è ancora dentro. Kismet vuole sapere della donna coinvolta nell’incidente. Yale le dice che si chiama Fazile. Ha solo qualche costola rotta. Kismet chiede di poterle parlare, ma Yale scuote la testa. Non è possibile. Poi si scusa e si allontana, lasciandola sola in quel corridoio che odora di disinfettante e paura.
In una villa silenziosa, immersa nella penombra, un telefono squilla senza sosta. Un uomo in sedia a rotelle si muove lentamente lungo il corridoio, le ruote che sfiorano il pavimento con un suono metallico. Risponde con voce affannata. Dall’altro capo, una voce fredda gli chiede il grado di parentela con la signora Fazile. Lui risponde che è suo figlio. Pochi secondi di silenzio bastano per fargli capire tutto. La madre è rimasta coinvolta in un grave incidente. Riattacca senza parlare. Lo sguardo si posa sulla televisione accesa. I notiziari mostrano immagini dell’auto distrutta. I titoli scorrono veloci. “La celebre scrittrice Fazile gravemente ferita.” L’uomo resta immobile, le mani tremano sui braccioli, mentre il riflesso dello schermo gli illumina il viso.
All’ospedale, anche Enver vede la notizia. Siede accanto al letto di Arif, entrambi con gli occhi fissi sul televisore. Senza dire nulla, Enver si alza e raggiunge la stanza di Fazile. Bussa piano, entra. La trova sveglia, pallida, il viso pieno di lividi, ma gli occhi vivi. Le dice che la sua famiglia è rimasta coinvolta nello stesso incidente, che voleva solo augurarle una pronta guarigione. Fazile lo fissa per qualche secondo, poi lo invita ad andarsene con voce dura. Enver resta spiazzato, ma obbedisce. Sa che non è il momento di pretendere nulla, nemmeno una parola gentile.

Nel frattempo, Ceida ed Emre sono alla stazione di polizia. I loro volti segnati dalla stanchezza. Chiedono notizie di Arda. Il poliziotto dietro la scrivania risponde che stanno ancora indagando, che li avviseranno appena sapranno qualcosa. Le sue parole sono vuote, di routine. Nessuna speranza reale. Mentre parlano, in un magazzino lontano, un camion si ferma. L’autista scende, apre il rimorchio e sbianca. Tra le casse c’è un bambino. Arda lo fissa con gli occhi grandi, spaventati, coperto di polvere. L’uomo prende il telefono, chiama qualcuno, dice di aver trovato un bambino nascosto nel camion. Non ha detto una parola, solo guardato. Gli ha dato dell’acqua, ma non sa che fare. Non può chiamare la polizia, teme che lo accusino di rapimento. Riattacca, resta lì seduto sul gradino del camion, mentre Arda lo osserva in silenzio, piccolo e perso in un mondo troppo grande.
A casa, Şirin cammina avanti e indietro, nervosa, prende il telefono e chiama il padre, ma risponde Arif. Appena sente la sua voce, esplode. Gli urla di dirle subito se sua madre è uscita dall’operazione. Arif cerca di calmarla, dice che non sa ancora nulla, ma Şirin non ascolta, gli grida che non hanno bisogno di lui, che lui e Bahar meritano l’inferno. Gli promette che se sua madre dovesse morire, lo ucciderà con le proprie mani. Poi getta il telefono a terra. Dalla stanza accanto arrivano le voci dei bambini che cantano per coprire le urla. Lei si riversa a terra, le spalle che tremano, il pianto che non si ferma.
Nel frattempo, in sala operatoria, il cuore di Hatice rallenta. I medici urlano ordini, il monitor lampeggia. Il suo corpo lotta, ma qualcosa dentro di lei cede. Nel buio dell’anestesia sogna di trovarsi su una collina che guarda il mare. Davanti a lei, Şirin vestita di bianco, ferma sul bordo di un dirupo. Hatice la chiama, ma la figlia apre le braccia e si getta nel vuoto. Lei corre per fermarla, ma le gambe non la reggono. Il suo cuore si ferma.

Enver, nella sua stanza, si sveglia di colpo, si porta la mano al petto, un dolore improvviso lo stronca. Dice ad Arif di sentire che qualcosa non va con sua moglie, gli occhi gli si riempiono di paura. A casa, Doruk si gira nel letto, incapace di dormire. Dice a Nisan che vuole andare nell’appartamento di Ceida. Lei gli ricorda che non c’è Ceida, che è uscita a cercare Arda, ma Doruk non l’ascolta, apre la porta, fa rumore. Şirin compare nel corridoio, gli chiede cosa stia facendo. Lui risponde che stava solo pulendo, lei non gli crede, si avvicina, lo fissa e gli sussurra che in quella casa ci sono mostri pronti a ucciderlo se prova a fuggire. Dice che lei non potrà salvarlo. Nisan la guarda e la chiama psicopatica. Şirin si illumina di rabbia e li manda a dormire a forza, con gli occhi pieni di follia.
In auto, Ceida stringe una foto di Arda. Dice a Emre che il suo bambino non parlerebbe mai con nessuno, che nessuno si accorgerebbe di lui anche se camminasse da solo per strada. Intanto, in un campo lontano, l’autista del camion ferma il mezzo in mezzo a un mare di girasoli. Fa scendere Arda, gli indica le luci in fondo, dice che lì c’è Cinlara, la città che la madre lo sta aspettando. Poi sale in cabina e riparte, lasciandolo solo. Il bambino cammina tra i fiori alti, il buio che inghiotte ogni cosa. I suoi passi sono lenti, il vento freddo.
Nello stesso istante, Ceida sente una mano afferrarla per il collo. Si volta di scatto. È sua madre. Piange e la colpisce urlandole dove sia finito suo nipote. Le dice che è la peggior donna che conosce. Ceida non reagisce, resta immobile. Il viso bagnato di lacrime. Le parole della madre la colpiscono più dei pugni. Emre riesce a dividerle. Le mani di Gulten tremano, gli occhi pieni di fuoco e lacrime. Ceida la chiama “mamma”, ma quella parola accende solo altra rabbia. Gulten le urla di non permettersi mai più. Lei non è la madre di nessuno, se non di Arda. Le parole tagliano come lame. Mentre Emre si mette tra loro, cerca di riportare la calma. Le dice che è stato lui a perdere il bambino, che Ceida non era nemmeno con loro, che la colpa non è sua. Ma Gulten non sente, piange, si copre il viso con le mani, il corpo piegato dal dolore.

Nel frattempo, nel campo di girasoli, Arda dorme rannicchiato nella terra secca. L’alba lo raggiunge piano e in lontananza si avvicina una grande macchina agricola, il motore che ruggisce. L’autista non sa che davanti a sé, tra i fiori, c’è un bambino. Le ruote girano, la lama avanza.
A casa, Şirin ordina a Nisan e Doruk di vestirsi in fretta per andare a scuola. Li osserva senza muovere un dito. I bambini fanno tutto da soli. Lei lancia sul tavolo una scatola di latte dicendo di dividerla. Nessuna colazione, nessun sorriso. Escono e Şirin finge di aver dimenticato il cellulare per rientrare di nuovo nell’appartamento. Fuori, Nisan e Doruk vedono un gatto randagio. Si fermano, gli danno un po’ del latte. Doruk ride, dice che vorrebbe chiederle di tenerlo, ma non c’è nessuna madre ad ascoltare.
In ospedale, Bahar giace immobile, non ha ancora ripreso conoscenza. Nel sonno sogna. Si vede seduta sul sedile posteriore di un’auto. Accanto a lei, Sarp. Davanti al volante, Arif. Il paesaggio scorre lento, confuso. Bahar si volta e attraverso il finestrino vede Nisan e Doruk sulla strada. I loro volti sono pallidi, sporchi, gli occhi pieni di paura. Tengono in mano dei fazzoletti, li offrono ai passanti come piccoli mendicanti. Lei grida il loro nome, chiede di fermarsi, ma nessuno nell’auto la sente. Poi, davanti, appare una poliziotta, fischia, alza la mano, ordina di andare avanti. Bahar resta intrappolata, costretta a guardare i suoi bambini che si allontanano, lasciati indietro. La poliziotta si gira, il volto è il suo. In quel momento Bahar si sveglia di colpo, il respiro spezzato.

Şirin, uscita dall’edificio, riceve una chiamata da Enver. La voce del padre è stanca ma piena di sollievo. “Bahar si è svegliata,” le chiede di dirlo ai bambini. Şirin domanda della madre, ma lui risponde che non ci sono ancora notizie. Riattacca. Ai piccoli comunica la notizia e loro esplodono di gioia. Dicono che la mamma si è svegliata perché hanno fatto una buona azione, perché hanno aiutato il gattino. Şirin li guarda impassibile e ordina di camminare più in fretta. Per strada vede un uomo a terra con le stampelle, si ferma un attimo, pensa che aiutarlo potrebbe essere un segno, un gesto che forse salverebbe la vita di sua madre, ma la paura, o forse l’indifferenza, vince. Si volta e sale sull’autobus con i bambini. Sul bus, Nisan nota una donna che lascia cadere il telefono, lo raccoglie e glielo restituisce. La donna sorride, Doruk la vede e le prende la mano, un piccolo istante di bontà, fragile come vetro.
Intanto, nei campi di girasoli, la polizia ha già circondato la zona. Ceida ed Emre arrivano di corsa. Lei scende dall’auto, urla il nome del figlio, corre nel terreno arido, le lacrime le scorrono sul viso, il respiro le si spezza. Poi, tra la folla, un poliziotto si avvicina con Arda per mano. Il bambino corre verso di lei, si getta tra le sue braccia. Ceida lo stringe come se volesse fondersi con lui. Gulten li guarda, le lacrime che le cadono lente, poi si avvicina e lascia che Arda l’abbracci. Per un momento tutto tace. Quando Ceida prova a fare un passo, Gulten le alza una mano davanti, le impedisce di avvicinarsi. È un gesto freddo, definitivo. Emre la trattiene, la consola.
In ospedale, Yale accompagna Enver nella stanza di Bahar. Gli dice che può restare solo 5 minuti. Lui si siede accanto al letto, le prende la mano. Bahar apre gli occhi, confusa, chiede cosa sia successo. Le hanno detto che ha avuto un incidente. Poi la voce le si rompe, chiede se la malattia è tornata. Enver le sorride piano, le dice che no, non è quello, solo uno svenimento, nulla di più. Lei chiede dei bambini e lui risponde che sono a scuola. Bahar si commuove, dice che sua madre deve essere molto preoccupata, chiede perché non sia venuta. “È in clinica,” le dice, “ha portato i bambini a scuola, per questo io sono rimasto.” Bahar lo fissa, le lacrime agli occhi, gli chiede di nuovo se è sicura che la malattia non sia tornata. Enver risponde di no, ma aggiunge che la caduta è stata violenta, che un organo è stato danneggiato e i medici hanno dovuto operarla. Bahar annuisce, poi stringe la mano del padre e gli chiede di non lasciarla morire, di non permettere che la malattia torni, che i bambini restino soli. Enver giura che non succederà, che è solo ferita, non malata, che tornerà a casa. Bahar chiude gli occhi, lo ringrazia, gli dice che gli vuole bene. Lui le risponde che anche lui la ama, le sfiora i capelli, le sussurra di riposare. Presto potrà rivedere i suoi figli. Bahar chiude gli occhi, la voce spezzata dal dolore, e sussurra che anche sua madre dovrebbe venire a trovarla. Enver trattiene il respiro, cerca di non lasciare uscire le lacrime che gli bruciano negli occhi.

Più tardi, torna nella stanza con Arif, che gli chiede come stia Bahar. Enver gli risponde che si sta riprendendo, anche se all’inizio credeva che fosse di nuovo malata, non ferita. Le parole restano sospese nell’aria, pesanti come la paura che ancora non se ne va. La porta si apre di colpo. Ceida entra trafelata, stringe Arif in un abbraccio, poi Enver le chiede se hanno trovato Arda. Lei annuisce, la voce rotta ma sollevata. In quell’istante, entra Yale con un’espressione che cambia tutto. “L’operazione di Hatice è riuscita.” Tutti si abbracciano per la prima volta dopo giorni. Un momento di pace fragile ma reale.
Enver chiama Şirin, che sta portando i bambini a scuola. Appena sente la notizia, esplode di gioia. Urla che non ha dovuto essere gentile con nessuno per far stare meglio sua madre. I bambini la guardano confusi, mentre lei ride da sola, come se volesse convincersi di crederci.
Hatice apre gli occhi nella sua stanza, la luce bianca le taglia il viso, si gira e vede Sarp accanto a lei. Chiede con un filo di voce se Şirin è lì. L’infermiera le dice di non sforzarsi. Poco dopo, Şirin arriva all’ospedale con Nisan e Doruk. Dice ai bambini che possono andare dalla madre, ma Yale la ferma nel corridoio. “Non possono ancora vedere Hatice. Portali prima da Bahar.” Şirin protesta, poi cede. Li avverte di non dire a Bahar che anche Sarp e Hatice sono feriti.

Enver, intanto, entra in terapia intensiva, si siede accanto al letto della moglie, le prende la mano. Hatice apre gli occhi, gli chiede se tutti stanno bene. Lui annuisce, ma le lacrime lo tradiscono. Dice che ha avuto paura, una paura che non dimenticherà mai. Lei lo guarda e gli chiede di non piangere, di ricordare solo che lo ama. Enver le risponde che non smetterà mai di amarla.
Şirin e i bambini raggiungono Bahar. Nisan e Doruk le corrono incontro, la stringono forte. Lei sorride, li accarezza, come se volesse imprimere per sempre quel momento nella memoria. Şirin consegna un sacchetto a Ceida dicendo che gliel’ha mandato il padre nel caso avesse fame. Poi, con voce fredda, dice che non disturberà la felicità di quella famiglia e se ne va. Nel corridoio incontra Enver che le chiede di accompagnarlo da Hatice per un minuto. Lei accetta, gli occhi lucidi di speranza.
Dall’altra parte, Sarp si sveglia, guarda attorno confuso e chiede cosa sia successo. Il medico gli spiega che ha avuto un incidente, ma che tutti sono vivi. “Persino la madre di Bahar, che giace accanto a lui, si sta riprendendo.” Sarp si gira verso Hatice, le chiede se quello che vede è un sogno. Lei sussurra un “forse” che gli gela il sangue. Poi, d’un tratto, i monitor iniziano a suonare. Il cuore di Hatice si ferma. I medici entrano di corsa, provano a rianimarla. Sarp guarda impotente il corpo immobile della donna che ha sempre rispettato come una madre.

Şirin non riesce a entrare, urla nel corridoio, chiede a Enver cosa le abbia detto, cosa stia succedendo. Intanto, Bahar, in un altro piano dell’ospedale, immagina di essere su un palcoscenico. Davanti a sé, un pubblico silenzioso racconta la sua storia, la storia di una donna che pensava di non avere nulla da dire, finché qualcuno non le chiese di farlo per sé e per gli altri. Nel frattempo, in terapia intensiva, l’orologio segna le 12:37. Hatice viene dichiarata morta. La voce di Bahar si sovrappone come un eco. Dice che per anni ha creduto di odiare sua madre, ma poi ha capito. Quella che chiamava rabbia era solo nostalgia.
Enver ricorda le ultime parole di Hatice, la sua richiesta di proteggere Şirin, perché Bahar è forte, ma la sorella no. Non voleva morire con quella preoccupazione. Enver aveva promesso. Ora quella promessa pesa come una condanna. Un allarme improvviso fa correre la dottoressa Yale nella sala di terapia intensiva. Şirin lo vede, impallidisce, capisce che è accaduto l’impensabile. Corre nella stanza di Bahar urlando, piangendo, dicendole che è tutta colpa sua, che tutto quello che è successo con Sarp era una bugia. Confessa che è stata lei anni fa a dire a un uomo che Bahar e i bambini erano morti, che le foto erano false, tutto inventato. Ammette di essere impazzita di gelosia, incapace di sopportare l’amore che tutti avevano per sua madre e per Bahar. Si inginocchia, chiede perdono, dice che lo fa solo per la salute della madre, che vuole solo salvarla. Bahar non capisce, la guarda come se non la riconoscesse più. Enver entra e in silenzio le rivela la verità. Hanno avuto un incidente e non gliel’ha detto prima perché lei era appena uscita dalla sala operatoria. Mentre Şirin continua a implorare, Bahar le dice che la perdona. Lo fa tremando, perché dentro di sé sa che nulla sarà più come prima. Poi Yale entra nella stanza. Il suo sguardo è vuoto, la voce bassa. Dice solo che Hatice non ce l’ha fatta. Şirin si accascia, crolla a terra. Bahar scoppia in un pianto senza voce, abbracciando il lenzuolo, come se potesse ancora stringere la madre. Enver resta immobile nel corridoio, incapace di accettare che la donna che ha amato per tutta la vita non ci sia più. E mentre il dolore riempie l’ospedale, la voce di Bahar si sovrappone di nuovo come un pensiero che non smette di bruciare: “A volte si capisce quanto qualcuno ci ha amato solo quando non c’è più.”