La Forza di una Donna: Piril IMPAZZISCE! Tradita, Umiliata… e pronta a DISTRUGGERLI TUTTI
L’equilibrio si spezza, le maschere cadono e una donna, spinta sull’orlo del baratro, si prepara a scatenare una tempesta vendicativa. Le tensioni si accumulano nella villa di Suat, preludio a un dramma che promette di travolgere tutto e tutti.
La tensione nella lussuosa dimora di Suat è palpabile, densa come un presagio. Sirin, Arif ed Enver varcano la soglia con il cuore che batte all’impazzata, accolti dalla domestica che sembra quasi affrettarli, come se ogni istante fosse prezioso, o pericoloso. Ad attenderli c’è Suat, figura imponente e glaciale nel suo salotto, lo sguardo fisso, impenetrabile, di chi non tollera intrusioni. È Enver, la voce incrinata dall’ira e dalla preoccupazione, a rompere il gelido silenzio. Le parole fluiscono, amare e cariche di un dolore insopportabile: Sarp, per proteggere Bahar e i bambini da uomini minacciosi che li stavano cercando, li ha condotti in un luogo segreto. Ma la tragedia non si ferma qui. Quegli stessi uomini, senza trovare le loro vittime, hanno riversato la loro furia omicida su Yelitz, una donna innocente, un’amica di Bahar, strappandole la vita in un atto di violenza efferata.
Suat, dopo un istante di apparente riflessione, risponde con un distacco disarmante, quasi crudele: “Mi dispiace per la tragedia, ma non vedo cosa c’entri con me”. Le parole, fredde come il ghiaccio, accendono la miccia in Arif, che esplode, balzando in piedi e affrontando Suat con la furia negli occhi: “Smettila di fingere, sappiamo che conosci il suo nascondiglio!”. Ma Suat non si scompone, la sua compostezza una corazza impenetrabile. Ordina semplicemente ai suoi uomini di accompagnare fuori gli intrusi. Enver e Arif vengono trascinati via con forza, mentre Sirin resta immobile, tremante, lo sguardo carico di una rabbia impotente. “Non doveva andare così,” sussurra, una frase che sembra quasi una condanna. Suat la fulmina con gli occhi, la voce dura come una pietra: “Fatti da parte, ragazza. Queste cose non ti riguardano.” Sirin esce dalla villa, una torcia di furia incontenibile, il rancore che la divora come una fiamma inestinguibile, il seme della vendetta che inizia a germogliare nel suo cuore.
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Nel frattempo, nella casa di Atice, l’atmosfera è opprimente. La dottoressa Gile è arrivata per far visita a Ceida, ma la realtà che trova è desolante. Atice, con il cuore spezzato, confida alla dottoressa che la ragazza sta crollando, distrutta dalla perdita di Yelit, l’unica vera amica che avesse. Gele entra in salotto e vede Ceida, immobile, lo sguardo perso nel vuoto, un’ombra di sé stessa. “Ho perso l’unica amica che avevo,” dice con un filo di voce, le lacrime che scivolano silenziose sul suo volto pallido. Anche il tentativo di Intro di infonderle coraggio sembra inutile, la stanza è gelida, come se il dolore avesse spento ogni fonte di calore. Atice rivela un dettaglio straziante: Ceida si rifiuta di accendere il riscaldamento, convinta che Yelit sia in un posto freddo e lei voglia sentirsi vicina a lei in qualche modo. Le due donne si scambiano uno sguardo muto, carico di pietà e disperazione. Ceida si alza, la voce appena udibile, e dichiara che andrà a trovare Yelit. Atice capisce, con un peso nel cuore, che nulla potrà fermarla.
Ma è la furia di Piril a esplodere come una tempesta improvvisa. Con Munir al suo fianco, irrompe nella villa di Suat, un turbine di rabbia pura, gli occhi accesi da un’ossessione che ha superato ogni limite di razionalità. Munir tenta di placarla, ma la sua voce si perde nel fragore della sua disperazione. “Siamo venuti per chiederti di convincerla,” dice Munir a Suat, riferendosi a Piril. Lei vuole recarsi al rifugio dove Sarp e Bahar si nascondono. Suat la guarda, esasperato, e le ricorda con voce dura le promesse fatte, il pericolo incombente: “Hai promesso di restare tranquilla.” Ma Piril lo interrompe, la voce rotta dall’ira, un fiume in piena di risentimento: “Tranquilla? Ho passato la mattina a comprare vestiti per quella donna, per i suoi figli. Ho comprato persino un pigiama, così potrà dormire comoda accanto a mio marito.” Munir, con pazienza, tenta di ragionare con lei, le ricorda la tragica morte della notte precedente, il rischio immenso. Ma Piril lo sovrasta con la sua determinazione feroce: “Non mi importa. Se Sarp è lì, io sarò con lui. Nessuno mi fermerà.” Suat si alza di scatto, il tono glaciale, perentorio: “Non ti azzardare, Piril, ti proibisco di muoverti.” Piril lo fissa dritto negli occhi, la sfida nelle sue pupille: “Non sono venuta per chiederti il permesso, papà. Ti sto solo avvisando.” Poi, con un gesto deciso, si volta verso Munir: “Prepara l’auto, mi porti da lui subito.”
Nel frattempo, nel rifugio, Bahar si muove in silenzio, sistemando la cucina. Ogni gesto è lento, controllato, ma dentro di lei il cuore pulsa all’impazzata. Sarp la osserva da lontano, indeciso se parlare o tacere, un tormento interiore che lo logora. Si avvicina, tenta di aiutarla, ma lei si ferma, lo guarda negli occhi, la voce morbida ma carica di dolore: “Non serve. So già cosa vuoi dirmi.” Sarp abbassa lo sguardo, la voce spezzata da un dolore antico: “Credevo che foste morti. Ogni giorno ho vissuto con quel dolore. Non volevo che finisse così.” Bahar sospira, il suo respiro leggero come una foglia al vento, e risponde con una serenità quasi disarmante: “Ti capisco e ti perdono.” Ma poi, la voce si incupisce, diviene più fredda: “Ma ora hai un’altra vita. Hai una moglie, altri due figli, e sei responsabile tanto di loro quanto di Nisan e Doruk. Questo non cambierà mai.” Le parole sono lame affilate che squarciano il velo del passato. Sarp tenta di parlare, ma Bahar lo interrompe ancora, la sua voce calma, ma definitiva, come una sentenza: “Il passato è finito. Non voglio più bugie. Dopo che i bambini dormiranno, mi dirai tutto.” Sarp resta immobile, travolto dal peso delle sue colpe, un uomo sconfitto. Bahar si volta, riprende le sue incombenze, ma nei suoi occhi brilla una lacrima che non cade.

Fuori, lontano da quella casa che custodisce segreti e dolori, un’auto si mette in moto. Piril fissa la strada con lo sguardo fisso, mentre Munir guida in silenzio. La sua mente corre a Sarp, al tradimento che non può più sopportare, all’umiliazione che la divora. È decisa a raggiungerli, a confrontarsi con la realtà che la tormenta, anche se per farlo dovrà distruggere tutto ciò che hanno costruito. Da quel momento, nulla sarà più come prima.
La serata al rifugio è carica di tensione. Bahar ha appena comunicato a Sarp che quella sera dovranno parlare, che non accetterà più bugie. Sarp cerca disperatamente di fermarla, la prega di ascoltarlo, ma lei è troppo ferita, troppo distrutta dal peso degli anni di inganni per lasciarlo parlare. I suoi occhi si riempiono di rabbia e dolore mentre sputa fuori tutto ciò che ha represso per anni: “Cosa mi dirai, Sarp? Che mentre io e i bambini morivamo di fame, tu ti sei rifatto una vita, che hai sposato un’altra donna e costruito una nuova famiglia felice?” Sarp resta in silenzio, incapace di rispondere, le parole gli si bloccano in gola. Il momento viene interrotto solo da Doruk, che corre da loro stringendo un giocattolo nuovo, chiedendo al padre di aiutarlo ad aprirlo. Sarp si china accanto a lui, cercando rifugio in quel piccolo gesto d’amore, un’oasi di innocenza in mezzo alla tempesta. Bahar lo osserva da lontano, il cuore stretto da un dolore che non trova pace. Dopo qualche minuto, prende una decisione: deve uscire, vuole comprare un caricatore per il telefono, deve assolutamente parlare con sua madre. Sarp si alza di scatto, le dice che è troppo pericoloso, che non può lasciare la casa, ma Bahar, esasperata, lo affronta: “Tu non sai cosa significa preoccuparsi per qualcuno. Io sì.” Gli chiede solo un po’ di soldi e promette che tornerà presto. Sarp tenta di dissuaderla, propone di andare tutti insieme, ma lei scuote la testa. Ha bisogno di aria, di silenzio, di un momento per sé. Alla fine lui cede, le porge del denaro, guardandola uscire con il cuore pesante. La porta si chiude alle sue spalle e la casa torna muta, carica di attesa.
Nel frattempo, lontano da lì, Emre cammina per le strade del quartiere dove viveva Bahar. È agitato, tiene in mano un foglio con un indirizzo, si ferma davanti a un uomo e gli chiede dove si trovino gli appartamenti del palazzo. L’uomo indica la strada e gli chiede chi stia cercando. “Una mia dipendente,” risponde Emre, il respiro corto. “Non si è presentata al lavoro oggi.” L’altro abbassa lo sguardo, poi dice con tono grave che la notte precedente una donna è stata uccisa proprio lì e che la notizia ha sconvolto tutto il quartiere. Dall’ingresso del bar, Yusuf sente la conversazione e si avvicina, gli chiede chi stia cercando esattamente. “Bahar,” risponde Emre, il respiro corto. “Non è lei la vittima, vero?” Yusuf scuote la testa, ma aggiunge che non la troverà. “Se n’è andata e nessuno sa dove.” Emre resta immobile, lo sguardo perso verso gli appartamenti. Un brivido gli attraversa la schiena. Intuisce che qualcosa di terribile è successo.

Nel frattempo, nella casa isolata, Sarp gioca con i bambini. Nisan ride, Doruk corre attorno al tavolo. Per un attimo sembra tornata la serenità, poi, all’improvviso, qualcuno bussa alla porta. Nisan sorride, convinta che sia la mamma, ma quando Sarp apre, il suo volto impallidisce sulla soglia, lo sguardo gelido, i figli per mano, Truva e Piril. La porta si apre di colpo e Nissan, credendo che sia sua madre, corre felice verso l’ingresso, ma il suo sorriso si spegne non appena vede Piril entrare con i suoi due bambini. Dietro di lei, Chi e Sarp sono pietrificati. La scena si congela per un istante. Il passato e il presente si scontrano nello stesso spazio. Piril saluta con freddezza, lo sguardo tagliente, poi si fa avanti come se quella casa le appartenesse. Nisan, ingenua, la ringrazia per i vestiti e i regali che ha ricevuto. Piril accenna appena un sorriso, un gesto meccanico, mentre dentro di sé ribolle di rabbia e umiliazione. Doruk la osserva in silenzio, intuendo che quella donna non è lì per un gesto di bontà. Sarp fissa Munir, la voce bassa ma carica di tensione: “Vuole sapere perché li abbia portati lì, in quella casa che doveva restare un rifugio segreto.” Munir si giustifica, dice che non c’era altra scelta. “Nezir ha scoperto dove vivevano e ha mandato i suoi uomini. Era l’unico modo per metterli al sicuro.” Sarp si passa una mano sul viso, esasperato, accetta la spiegazione, ma l’aria intorno a loro è diventata pesante. Piril, rigida, si avvicina ai bambini e li presenta con voce fiera: “Ali e Omer.” I nomi risuonano nella stanza come una condanna. Doruk e Nisan si guardano, riconoscono quei nomi. Li avevano sentiti dalle labbra della madre quando aveva raccontato che il loro padre aveva avuto altri figli. I due piccoli si stringono l’uno all’altra, confusi e feriti. Sarp li osserva distrutto, poi chiama Piril e Munir in cucina, lontano dagli occhi innocenti dei bambini. Lì, la tensione esplode. Chiede loro se sono impazziti, se si rendono conto di ciò che stanno facendo. Munir risponde che non avevano alternative. “Nezir li avrebbe trovati ovunque.” Ma Piril non resta in silenzio, scatta come una fiamma e gli rinfaccia tutto. Dice che non è venuta per rovinarlo nella sua nuova vita, ma per proteggere i propri figli. Ricorda a Sarp che senza di lei lui e Bahar sarebbero già morti. Se avesse voluto distruggerlo, non gli avrebbe mai rivelato i piani di Nezir. Sarp abbassa lo sguardo, le riconosce il merito, ma la ringrazia a denti stretti. Poi ordina a Munir di trovare un’altra casa, lontana, sicura. “Non possiamo restare tutti lì, sarebbe un disastro.” Piril lo fissa negli occhi, furiosa, ma non risponde. Il silenzio viene rotto solo quando Sarp, improvvisamente, chiede a Munir il nome della donna morta nella sparatoria. Munir abbassa la testa e risponde piano: “Yelit.” Sarp resta immobile. Quel nome lo colpisce come un pugno. Ricorda le parole dei figli, il sogno di Nisan, e capisce che quella morte li tocca molto più da vicino di quanto volesse credere. Guarda Piril e le dice che Bahar non deve saperlo, almeno non ancora. “Se lo scoprisse, vorrebbe tornare indietro e sarebbe la fine per tutti.” Poi prende il telefono di Munir. La sua voce attesa, in respiro corto. Deve fare una chiamata.
Nel frattempo, lontano da lì, Arif guida in silenzio accanto a Sirin ed Enver. La tensione è palpabile. Arif dice che dovrebbero avvisare la polizia. Se quegli uomini stanno ancora cercando Bahar, ogni minuto perso potrebbe costare caro. Il destino si stringe attorno a tutti loro come una morsa e nessuno sa chi sarà il prossimo a cadere. Dentro l’auto, Enver guarda la strada in silenzio. Le mani sul volante tremano appena, mentre Arif, accanto a lui, rompe il silenzio con una frase che pesa come un macigno: “Se Bahar e i bambini stessero bene, ci avrebbero già chiamato.” Enver annuisce, ma subito dopo scuote la testa. Pensa che avvisare la polizia sia troppo rischioso. Se Sarp sapesse che lo hanno fatto, tutto potrebbe precipitare. Arif lo guarda con amarezza: “Dice che non hanno più tempo per la prudenza, che Yelit è morta e non possono aspettare che la prossima a cadere sia Bahar.” All’improvviso, il telefono di Enver vibra. Un numero sconosciuto, risponde con voce esitante e dall’altra parte una voce femminile calma ma tesa lo invita ad ascoltare con attenzione. È Leila, la domestica. Dice che Bahar e i bambini stanno bene, ma che nessuno dovrà dire loro della morte di Yelit. “Se Bahar lo scoprisse, tornerebbe indietro e metterebbe in pericolo se stessa e i figli.” Poi, senza aggiungere altro, chiude la chiamata. Enver resta immobile per qualche secondo, poi riferisce tutto ad Arif. I due si scambiano uno sguardo muto. Adesso sanno che Bahar è viva, ma prigioniera di una bugia. Arif sospira: dice che devono avvisare Hatice e, soprattutto, impedire che Ceida scopra la verità. Se lo facesse, tutto crollerebbe.
Nel frattempo, nella casa isolata, Piril si avvicina a Sarp, gli chiede dove sia Bahar. Lui, con voce tesa, risponde che è uscita e tornerà presto. Piril lo fissa, poi chiede a bruciapelo cosa accadrà quando Munir troverà un’altra casa. Vuole sapere se lui resterà con Bahar o se tornerà con lei e i gemelli. Sarp la guarda senza rispondere. L’ira gli attraversa lo sguardo, ma si trattiene. Dice solo che i bambini non possono restare soli e se ne va. Nel salotto, Doruk e Nisan si stanno cambiando in silenzio. Sarp li osserva stupito e chiede perché lo stiano facendo. “Così stiamo meglio,” risponde Nisan senza guardarlo. Sarp si siede accanto a loro, li stringe e con voce rotta confessa che Ali e Omer sono i loro fratelli. Li invita a giocare con loro, ma i bambini si ritraggono, gelidi. Allora Sarp abbassa lo sguardo e dice soltanto che qualunque cosa accada, loro sono la cosa più importante della sua vita e che tutto ciò che fa è per proteggerli. Li abbraccia, ma Doruk rompe il silenzio sussurrando: “Nisan è l’unica sorella che ho.” La bambina annuisce e piano gli sussurra all’orecchio che quegli altri bambini non contano. Parole dure che gelano Sarp nel silenzio della stanza. Piril, intanto, dice che comincerà a sistemare le valigie. Sceglierà una stanza per sé e per i gemelli e chiede a Sarp di occuparsi degli altri bambini. Lui annuisce distrattamente, ma dentro è un vortice. Li osserva tutti: quattro bambini divisi da un destino che non hanno scelto. Poi guarda verso la porta. Bahar non è ancora tornata. Cammina da sola lungo una strada deserta. L’aria taglia la pelle, il vento le scompiglia i capelli. Arriva un bivio e si ferma. Due sentieri davanti a lei, entrambi immersi nel buio. Non sa quale prendere. Per la prima volta, non sa dove andare.
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Nel frattempo, davanti all’obitorio, Atice e Ceida siedono in silenzio, avvolte nei cappotti. Sono lì da ore. Leila le raggiunge, il volto stanco, e chiede ad Atice di tornare a casa, promettendo che si occuperà lei di Ceida. Ma Hatice non si muove, guarda la porta chiusa dell’obitorio e mormora solo: “Finché non vedo mia figlia, non me ne vado.” Atice non vuole muoversi dall’obitorio. È seduta da ore, il viso stanco, lo sguardo perso nel vuoto. Ceida si avvicina e le chiede di tornare a casa, ma Atice scuote la testa. Non se ne andrà da lì finché non potrà salutare Yelit per l’ultima volta. Ceida insiste, le dice che tra poco tornerà anche lei, ma Atice è ferma, determinata, non le permetterà di rientrare nel suo appartamento, deve restare con lei. Ceida cerca di spiegare che quella notte deve lavorare, i suoi vestiti sono a casa, ma Atice è ferma: “Non sei in condizioni di cantare, devi chiamare e dire che parteciperai a un funerale.” Ceida risponde che non vuole avere problemi con il suo capo. Conul, che le osserva da poco distante, interviene, pregando Hatice di tornare a casa perché il freddo pungente potrebbe farle male. Alla fine Atice cede, le affida le chiavi, le dice di passare da lei dopo il lavoro, non vuole che Ceida resti sola, poi si allontana lentamente, portando con sé il peso di un dolore che accenna a fermarsi.
Nel rifugio, Piril sta sistemando le valigie e impone ordine in casa. Dice a Leila, la domestica, di restare con i bambini nella loro stanza, mentre lei dormirà in quella di Sarp. Leila annuisce in silenzio, senza replicare. Poco dopo, entra Munir con il viso teso e la voce cauta, le comunica che il riscaldamento è stato riparato e le chiede se abbia bisogno di altro prima di andare. Piril scuote la testa. Le interessa solo sapere dove sia Bahar. “Forse ha litigato con Sarp ed è uscita di casa,” dice a bassa voce. Munir risponde che è impossibile. “Bahar non avrebbe mai lasciato i figli da soli e l’auto è ancora parcheggiata fuori.” Piril, stringendo le braccia al petto, si domanda perché non sia ancora tornata.
Nel frattempo, Arif arriva a casa di Enver, gli dice che deve tornare al quartiere, ha qualcosa di urgente da risolvere. Enver prova a fermarlo, ma Arif non cambia idea. “Mio padre deve pagare per aver finto di essere malato.” Enver alla fine lo lascia andare, guardandolo allontanarsi nella notte. Appena rientra, sente bussare alla porta. È Atice, con il viso segnato dalla stanchezza, gli racconta che una donna l’ha contattata per dire che Bahar e i bambini stanno bene, ma avverte: “Non devono dire a nessuno, nemmeno a Ceida, che Yelit è morta. Se Bahar lo scoprisse, tornerebbe subito e metterebbe tutti in pericolo.” Enver l’ascolta in silenzio, poi chiede dove sia Ceida. Atice gli risponde che è andata a casa sua a prepararsi per il lavoro, anche se non ne avrebbe la forza. Enver resta pensieroso, un’ombra d’ansia gli attraversa lo sguardo.

Intanto Arif arriva nel suo quartiere e chiede a un amico se ha visto Yusuf, suo padre. L’uomo risponde che dovrebbe essere alla taverna. Arif corre subito lì. Dentro trova Yusuf ubriaco, che parla da solo, giustificandosi con chiunque lo ascolti. “Non è colpa mia se Yeliz è morta, ma di quegli uomini armati.” Arif lo afferra per il colletto e lo costringe a guardarlo. Yusuf, con gli occhi velati, gli dice che è esausto, che non ha dormito e vuole solo riposare, poi si abbandona sul tavolo. Arif chiede al proprietario di lasciarli soli, afferra una bottiglia d’acqua e gliela versa in testa. “I medici mi avevano detto che dovevi operarti al cuore,” gli dice con rabbia, “e invece hai finto.” Yusuf ammette tutto. Stava bene, non ha mai avuto un attacco di cuore. Arif gli chiede il perché. Yusuf confessa che un uomo lo aveva minacciato: “Se non fossi uscito da quella casa, avrebbero ucciso tuo figlio.” Arif gli chiede: “Tuo figlio?” Sconvolto, gli chiede se avesse accettato dei soldi. Yusuf annuisce lentamente e si riaddormenta. Arif resta immobile per un istante, poi esce furioso dalla taverna, con lo sguardo duro e il cuore spezzato.
Nel rifugio, Doruk abbraccia Nisan sul divano e guarda suo padre. Gli chiede chi fosse l’uomo venuto poco prima. Sarp risponde che era Munir, un amico fidato che lo aiuta da sempre. Poi Doruk domanda chi sia la donna con i bambini. Sarp dice che si chiama Leila, la domestica che si occupa di Ali e Umut. Nisan chiede: “È la loro mamma? È passato troppo tempo.” Sarp le risponde che andrà a cercarla e che Leila resterà con loro, ma proprio in quel momento la porta si apre. Bahar entra trafelata, respiro corto, e si scusa per averli fatti preoccupare. Si avvicina ai figli e chiede perché abbiano cambiato i vestiti. Poi si volta e resta pietrificata nel vedere i gemelli in salotto. Sarp le chiede di parlare in privato, ma Piril appare alle sue spalle, le tende la mano fredda e si presenta con un sorriso tagliente. Bahar le stringe la mano con grazia, nascondendo il turbamento e ringrazia per i regali che ha mandato ai bambini. Poi si avvicina ad Ali e Omer, li saluta con dolcezza e dice che sono belli come la loro madre. Aggiunge che Nisan e Doruk sono i loro fratelli e che possono giocare insieme quando vogliono. Poi, con un sorriso forzato, dice di aver perso qualcosa per strada e prende il cappotto. Esce rapidamente di casa, seguita da Sarp. Lui la raggiunge e le dice che non immaginava sarebbero arrivati lì, ma non avevano altra scelta. Bahar lo ascolta, lo guarda appena, poi gli dice che capisce, ma non riesce a trattenere le lacrime. Sarp cerca di spiegarsi, le prende le braccia, ma lei, scossa, gli dice che non avrebbero dovuto rifugiarsi in quella casa e che dovrebbe chiedere scusa a sua moglie. Sarp tenta di fermarla, ma Bahar esplode, lo schiaffeggia con forza. Lui resta immobile, sorpreso, poi la stringe forte mentre lei cerca di liberarsi. Dalla finestra, Piril osserva la scena. Furiosa, gli occhi colmi di gelosia e dolore. Bahar si divincola e rientra in casa. Siede accanto ai suoi figli, tremante, mentre Sarp rimane in silenzio, distrutto.
Bahar si volta verso il salotto e resta senza fiato. Davanti a lei, i gemelli di Sarp la fissano in silenzio. Per un istante, il tempo sembra fermarsi, ogni certezza crolla, ogni respiro pesa. Sarp le chiede di poter parlare da soli, ma prima che lei possa rispondere, Piril compare alle sue spalle, entra con passo deciso, lo sguardo tagliente e tende la mano a Bahar con un sorriso freddo. Bahar cerca di mantenere la calma, le stringe la mano e risponde con gentilezza forzata. Sorride, finge normalità, chiede ai bambini se hanno già ringraziato Piril per i regali che ha mandato e loro annuiscono timidamente. Ma dietro quel sorriso, Bahar sente la terra mancarle sotto i piedi, si avvicina ai gemelli, li saluta con dolcezza e li guarda attentamente, come se volesse capire qualcosa che nessuno le ha ancora detto. Poi, con voce ferma, ma gli occhi lucidi, dice che Nissan e Doruk sono i loro fratelli e che potranno giocare tutti insieme. Piril annuisce, rigida. Bahar si alza in fretta. Dice di aver perso qualcosa per strada, prende il cappotto e scappa via. Sarp la segue fino fuori, la chiama, la ferma, le dice che non immaginava che Piril sarebbe arrivata, che non avevano altra scelta, che tutto è accaduto per caso. Ma Bahar non lo ascolta, lo guarda, le lacrime agli occhi e gli dice che capisce perfettamente le sue ragioni, ma non il suo cuore. Gira il volto per nascondere la rabbia, ma Sarp la afferra per le braccia, cerca di spiegarle ancora. Lei lo interrompe, la voce rotta: “Non dovevamo mai venire in quella casa e ora,” gli dice, “la sola cosa da fare è chiedere scusa a tua moglie.” Sarp insiste, le parole si confondono tra rabbia e disperazione. Bahar non ce la fa più. Lo schiaffo arriva improvviso, tagliente come una lama. Sarp resta immobile, la guarda negli occhi e poi, senza dire nulla, la stringe forte. Dalla finestra, Piril osserva. I suoi occhi bruciano di gelosia, le mani tremano, il respiro si fa corto. Bahar si libera dalla stretta di Sarp, rientra in casa, si siede accanto ai figli. Il viso è pallido, ma lo sguardo deciso. Sarp entra poco dopo, silenzioso, con il cuore distrutto. Piril rompe il silenzio, la voce fredda come il ghiaccio, le chiede se è riuscita a trovare ciò che cercava. Bahar risponde con un sorriso amaro che forse lo ha perso per sempre, ma aggiunge che era qualcosa di grande valore e dovrà imparare a sostituirlo. Le due donne si fissano in silenzio, due mondi che si odiano, due ferite ancora aperte.

Nel frattempo, Ceida rientra nel palazzo, sale lentamente le scale, ma si ferma di colpo. La porta di Bahar è sigillata con il nastro giallo della polizia. Sopra c’è scritto “Scena del crimine”. Le mani le tremano, si avvicina, toglie i nastri e apre la porta. Dentro, il salotto è devastato. A terra, la macchia di sangue dove Yelit è caduta non è ancora scomparsa. Ceida resta ferma, il respiro corto, poi prende secchi e spugne. Inizia a pulire, strofinando con tutta la forza che ha, come se potesse cancellare il dolore insieme alle macchie sul pavimento. Le lacrime si confondono con l’acqua. Quando ha finito, cammina verso l’appartamento accanto, quello che divideva con Yelit. Apre la porta, si guarda intorno e sorride tristemente. Ogni oggetto, ogni foto è un ricordo che le trafigge l’anima.
Altrove, Arif è seduto al bar con un amico del quartiere. Parlano a bassa voce del dolore, della morte di Yelit, dei bambini rimasti soli. L’amico gli dice che non è giusto, che quella donna non meritava una fine simile. Poi gli chiede se Bahar sia con suo marito. Arif lo guarda sorpreso. L’uomo risponde che gliel’ha detto Yusuf, dicendo a tutti che si trovano in un posto sicuro. Arif stringe i pugni, capisce che è stato suo padre a mettere in pericolo tutti loro. L’amico lo guarda e scuote la testa. Gli dice che si è sempre innamorato della donna sbagliata. Arif sorride amaramente. Dice che per Bahar rischierebbe tutto perché l’amore vero, quello che non ha mai chiesto nulla in cambio, non si arrende mai.