“La Forza Di Una Donna” 24-25 Ottobre: Sarp Scopre L’Impossibile Tra Bahar e Arif, Un Tuffo Nel Cuore Oscuro Dei Segreti Di Famiglia
La pioggia sottile che cade incessante sui vetri appannati sembra specchiare la tristezza che grava sull’abitacolo dell’auto. Sheida, stretta nella morsa dell’ansia, fissa un punto indefinito mentre Atice cerca, con voce spezzata, di offrirle conforto. Un sussurro di “Yelis è sola” rompe il silenzio denso, ma solo il lamento del vento risponde. L’abitacolo è diventato una prigione emotiva, dove ogni parola rischia di far crollare un equilibrio già precario. Enver, seduto di fronte, finge di concentrarsi sulla strada, ma i suoi occhi tradiscono un tremore interiore. Arif, al volante, tace, quasi temesse che il suono della sua voce potesse infrangere quel fragile patto di silenzi che li lega.
L’arrivo nel quartiere segna una sosta davanti al bar. Enver rimane immobile, un gesto quasi automatico nel rigirarsi la fede nuziale. Arif, con uno sguardo penetrante, rompe il ghiaccio, la sua voce un’eco nell’aria carica di tensione: perché il corpo non è stato riportato al villaggio? La risposta di Enver è un mormorio appena udibile: “Volontà dell’ex marito, così i bambini potranno venire da lei quando vorranno.” Un velo di dolore attraversa il suo volto, ma si ricompone rapidamente. L’arrivo trafelato di Yelis, le braccia cariche di borse e i capelli scompigliati dal vento, rompe la quiete. Chiede di Hatice. Enver accenna a un cenno: è di sopra con la madre di Yelitz. Arif, senza una parola, la aiuta, e insieme svaniscono nell’ingresso, il portone che si chiude alle loro spalle con un suono secco, quasi definitivo, sigillando un’altra storia all’interno di quelle mura.
Nel frattempo, nella lussuosa dimora di Sarp, l’atmosfera è ben diversa, un tepore apparente che maschera un’inquietudine crescente. Il camino scoppietta piano, proiettando ombre danzanti sui volti dei bambini. Sarp, intento ad alimentare il fuoco, finge una leggerezza che la sua voce tradisce: parla di stanchezza, di un dolore alla schiena, di un sorriso forzato per celare le sue ferite. I piccoli ridono, ignari del baratro che si apre negli occhi del padre, uno sguardo perso nelle fiamme, alla ricerca di risposte inesistenti. Doruk, con la spensieratezza dei suoi anni, commenta la fatica del nonno Enver e della nonna Hatice, paragonandola a quella del padre. Ma Sarp, in un moto di fastidio, lo ammonisce: “Non si deve mai dire a una donna che è vecchia, perché si arrabbia sempre.” Nissan ride, e Doruk rincara la dose, aggiungendo che anche Jelit si infuria se le dicono che è grassa. Il sorriso di Sarp si spegne di colpo.
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Bahar, rompendo il gelo, chiede ai bambini cosa desiderano mangiare. Nissan, con la spontaneità che solo un bambino possiede, chiede se sia riuscita a parlare con i nonni. Bahar scuote la testa, inventa una scusa, ma aggiunge che Arif ha detto che stanno bene e sentono la loro mancanza. Sarp osserva, immobile, gli occhi puntati su di lei, come a voler decifrare un codice nascosto dietro quelle parole. I bambini esprimono il desiderio di invitarli a casa. Bahar, con un sorriso appena accennato, li smorza con la scusa della casa piccola e lontana.
Ed è in quel momento che Sarp, con una voce che diventa improvvisamente più fredda, pone la domanda che aleggiava nell’aria: “Chi è Arif?” Bahar, senza voltarsi, risponde che è il proprietario dell’edificio in cui vivono. Poi si alza e si dirige in cucina. Sarp rimane pietrificato, la mente che corre veloce, rievocando quelle discussioni, quegli sguardi, quei momenti in cui aveva già percepito una dissonanza, qualcosa di inesplicabile. Doruk, con un’innocenza disarmante, rompe il silenzio lodando la macchina di Arif. Sarp chiede se ci siano saliti. Doruk annuisce, Nissan aggiunge che a volte Arif li accompagna a scuola, e Doruk conclude affermando che Arif vuole loro molto bene. Sarp, muto, gli occhi persi nel vuoto, il respiro affannoso, assorbe ogni parola, ogni dettaglio, come un sommozzatore in cerca di indizi nelle profondità di un mare tempestoso.
In cucina, Bahar prepara il pranzo. Piril entra, si versa un bicchiere d’acqua e la osserva. Le chiede se è sicura di averla vista a scuola e, in caso affermativo, perché non ne abbia parlato con Sarp. Bahar, con una calma ostentata, risponde che ne parlerà lei quando sarà il momento. Ma proprio in quell’istante, Sarp varca la soglia. La sua voce, bassa ma incisiva, ordina a Piril di uscire. Bahar interviene, affermando che può parlare davanti a lei. Piril, con uno sguardo che racchiude un mix di risentimento e saggezza, decide di uscire comunque.

Appena la porta si chiude, Sarp affronta Bahar, come un accusatore in tribunale. Le ricorda il telefono che le ha dato per chiamare i genitori, il fatto che non l’abbia mai fatto, e ora vuole sapere il perché. Bahar tace. Lui insiste: “Chi è Arif?” La risposta arriva, senza voltarsi, “L’amministratore, come già sai.” Sarp si avvicina ancora, la voce carica di sospetto: perché ha chiamato proprio lui? Bahar lo evita con lo sguardo, affermando che non sono affari suoi, che non ha alcun diritto di sapere cosa fa o con chi parla. Sarp la fissa, la voce rotta dalla rabbia: “Stai vedendo un altro uomo?” Il silenzio che segue è glaciale. Bahar si ferma, appoggia il coltello, lo fissa con occhi lucidi ma risoluti. “Non devo giustificarmi davanti a te.”
Sarp perde il controllo. Le rinfaccia di averlo sempre preso in giro, di avergli mentito. Le ricorda di aver visto Arif vicino alla casa di Atice troppe volte. “Cosa c’è tra voi due?” chiede con la voce spezzata. Bahar non risponde. Il coltello scivola dal tavolo, cade a terra con un tonfo sordo. Sarp la osserva. I loro sguardi si incrociano, carichi di accuse e paura. L’aria è pesante, un silenzio carico di parole non dette, di emozioni represse. Bahar non lo sopporta più. “Non mi riguarda!” grida, la voce che rimbomba nella cucina come uno schiaffo. “Non devi permetterti di chiedermi nulla!” Le rinfaccia di non averle mai chiesto come abbia avuto due figli con Piril, e lui non ha il diritto di sapere cosa succede con Arif.
Sarp, furioso, colpisce il tavolo con la mano. Il rumore secco riempie la stanza, poi esce, spingendo la porta con violenza. Piril, nella sua stanza, cammina avanti e indietro, agitata. I suoi occhi scorrono sul pavimento, il respiro irregolare. Teme che Bahar possa raccontare tutto a Sarp, che gli dica di quella volta a scuola, di quello sguardo che le aveva gelato il sangue. Sarp entra, furioso, e si ferma davanti alla finestra. Il suo riflesso nel vetro è quello di un uomo che non si riconosce più. Piril gli chiede se è successo qualcosa. “No,” risponde lui, con una voce tesa, troppo controllata per essere sincera. Piril, allora, gli dice che se vuole andarsene, può farlo. Ma Sarp la interroga, con un’intensità che la destabilizza: “Come hai saputo del rapimento di Bahar? Non me l’hai mai detto.”

Piril rimane immobile, il volto teso. Ricorda Sirin che l’aveva chiamata quella notte, ma non può dirlo. Inventa: qualcuno degli uomini di Nezir l’aveva contattata in cambio di denaro per avvertirla. Sarp la fissa, gli occhi stretti, la voce bassa ma tagliente: “Come è possibile che un uomo di Nezir avesse il mio numero?” Piril abbassa lo sguardo, balbetta: “Non lo so, ma l’importante è che l’informazione fosse vera.” Sarp si avvicina lentamente, ogni passo un colpo di tensione. Le dice che solo tre persone conoscono quel numero: Munir, Suat e lui. Sa che sta mentendo. Se fosse stato un uomo di Nezir, la prima cosa che avrebbe pensato è che fosse una trappola. Eppure, quella notte, Piril era corsa subito da lui, agitata, come se sapesse già che la notizia era reale.
Nella memoria di entrambi riaffiora quella notte: Piril che bussa alla sua porta, il viso pallido, la voce tremante, che gli dice che Bahar sta per essere rapita. Sarp ricorda il panico, la corsa fuori casa, il rumore del motore che parte all’alba, le strade deserte, il tempo che si ferma. Era stato grazie a lei che era riuscito a salvarla, o almeno così aveva creduto. Ora, però, tutto cambia. Sarp la fissa, le dice di guardarlo, di dirgli la verità. “Chi ti aveva dato quell’informazione?” Piril lo guarda, il cuore che batte forte, e risponde: “Munir.” Sarp è incredulo. “Perché Munir non mi ha parlato direttamente?” Piril replica: “Munir aveva ricevuto la notizia da un uomo di Nezir e aveva preferito passare per me per sicurezza.” Sarp non è convinto, qualcosa non torna.
Intanto, Munir entra nell’ufficio di Suat. Il vecchio lo aspetta seduto dietro la scrivania, gli occhi fissi, la voce ferma: “Racconta tutto. Cosa ha fatto Sarp? Come ha reagito?” Munir risponde: “Sarp si è innervosito appena siamo arrivati in quella casa, ma la storia inventata, quella secondo cui Nezir li aveva trovati, ha funzionato. Piril aveva ragione. Lui ci ha creduto.” Suat annuisce lentamente: “È ovvio. Sarp si fida ancora di lei.” Ma Munir scuote la testa: “C’è qualcosa che non capisco. Piril ha detto a Sarp che grazie a lei sono al sicuro, ma Sirin non ha mai parlato direttamente con Sarp, bensì con Piril.” Suat si irrigidisce, gli sguardi si incrociano, taglienti come lame: “È impossibile. Piril non poteva saperlo prima.” Munir insiste, giura di essere certo di quello che dice. Ha pensato a quella storia per tutto il viaggio, ma non trova spiegazioni. Suat si alza, ordina: “Indaga tra tutti i tuoi uomini. Voglio sapere chi ha parlato, chi ha passato quell’informazione a Piril. Dobbiamo trovare l’informatore prima che sia troppo tardi.” Munir accetta senza discutere.
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Poco dopo, Nezir è nel suo ufficio, seduto dietro la scrivania, le mani ferme sull’album di fotografie. Gli occhi scorrono sulle immagini di suo figlio. Ogni pagina è un pugno nello stomaco, un colpo di memoria che gli strappa il fiato. Asim entra piano, ma Nezir non lo lascia parlare. Gli dice che è profondamente deluso. Era il momento della sua vendetta, e lui l’ha rovinata con le sue mani. Bahar gli è sfuggita di nuovo. Gli rinfaccia che per colpa sua una donna è morta, e sa quanto questo lo tormenti, ma niente può cancellare il fallimento. Asim abbassa lo sguardo, annuisce: “Hai ragione.” Nezir continua, la voce fredda come il metallo: “La cosa peggiore non è la morte, ma essere sconfitto dall’assassino di tuo figlio.” Gli dice che quell’uomo si è preso gioco di lui troppe volte, poi si ferma, lo fissa e gli chiede: “Non ti sei mai chiesto perché lo abbia lasciato in vita?” Asim respira a fondo: “Me lo chiedo ogni giorno, ogni ora. Se me lo ordinassi, sarei pronto a togliermi la vita subito.” Ma Nezir scuote la testa: “Non è ciò che farai. Al contrario, dovrai uccidere qualcun altro.” Gli dà un nome: Munir. Gli ordina di eliminare suo fratello e di farlo da solo, senza aiuto, mentre lui assisterà. Asim resta pietrificato, poi china il capo: “Obbedirò.”
Nel frattempo, Sarp è con Piril. Le chiede perché suo padre Suat non si preoccupi più per lui come una volta e perché le abbia chiesto di tenere Munir a distanza. Piril risponde che è vero, ma che per Munir non è facile. Gli dice che il suo cuore non gli ha permesso di obbedire del tutto perché lo conosce meglio di Suat e sa che se qualcosa accadesse a Sarp, sarebbe distrutto. Sarp riflette in silenzio. Le dice che per questo motivo Munir le ha lasciato la scelta quella notte di salvare o meno Bahar. Avrebbe potuto tacere, ma non l’ha fatto. Se non le avesse parlato, oggi non sa cosa sarebbe successo. Sarp si avvicina e la stringe. Le sussurra che gli è grato, che grazie a lei la sua famiglia è viva. Le dice che è una donna forte e le chiede scusa per aver dubitato di lei. Piril sorride appena, ma i suoi occhi rimangono tesi, come se nascondessero qualcosa.
Intanto, nella casa di Sheida, l’atmosfera è pesante. Tutta la famiglia di Yeliz è riunita per il lutto. I bambini chiedono se possono andare nella stanza della madre a disegnare, e lei, con voce stanca, acconsente. Mentre li guarda allontanarsi, un velo di tristezza le cala addosso. In cucina, Yelis chiede ad Atice se ha bisogno di aiuto, ma lei risponde che ha quasi finito. Sheida entra poco dopo. Yelis la guarda e le chiede se sta bene. Sheida si sforza di sorridere, ma la voce le trema: “Almeno sto meglio di Yelitz, meglio di mia madre e dei miei figli.” Yelis le suggerisce di riposare un po’, ma Sheida scuote la testa. “Non capisco più il senso della vita,” sussurra. “Non so perché continuiamo a respirare se tutto finisce nello stesso modo. Forse vivere non serve a nulla.” Atice si volta di scatto, sente le sue parole e cerca di distrarla, chiedendole aiuto con il cibo. Poi, improvvisamente, lascia tutto e corre via verso la caffetteria di Arif. Enver la vede entrare agitata e le chiede cosa succede. Atice, senza fiato, risponde che è preoccupata per Sheida. Le dice che ha pronunciato parole terribili, che sembra non volere più vivere. Enver la guarda con serietà e le dice che è normale, che dopo la morte di una persona cara si cade nel buio e che il dolore fa dire cose che non si pensano davvero. Ma Hatice non è convinta, gli occhi le si riempiono di lacrime. Sa che Sheida non è una donna debole, ma qualcosa dentro le dice che questa volta la perdita l’ha spezzata davvero. Atice scuote la testa: “Non è così semplice. Dovresti guardarla in faccia per capire perché mi ha fatto paura.” E anche Yelis teme che stia pensando al suicidio. Se fosse vero, tutti se ne pentirebbero. Senza esitare, Atice corre fuori di nuovo verso il palazzo. Arif ed Enver rimangono seduti in silenzio nella caffetteria. Enver lo osserva a lungo: “Neanche tu sembri stare bene. Forse è per Bahar perché è andata via con Sarp?” Arif, irritato, risponde: “Dimenticalo.” Poi si ferma, inspira e si scusa per il tono. Guarda fuori dalla finestra e vede Yusuf uscire dall’edificio, dirigersi a piedi, lo sguardo perso nel vuoto. Enver gli appoggia una mano sul braccio: “Non arrabbiarti con tuo padre, ha fatto solo ciò che riteneva giusto per salvare il suo unico figlio.” Arif lo guarda esitante, poi confessa: “In realtà ho un fratello.” Enver lo fissa, sorpreso, incapace di parlare.

In un altro luogo, Nisan e Doruk giocano in salotto. Sarp li osserva, il volto disteso, e chiede se vogliono uscire a esplorare i dintorni. Nisan risponde che non sa se la madre lo permetterà. Sarp le ricorda che è il loro padre e che quando sono con lui non serve chiedere sempre il permesso. I bambini si scambiano uno sguardo e gli dicono che sono già usciti oggi. Se lo rifacessero, la madre si arrabbierebbe, teme che possano ammalarsi. Sarp annuisce, si siede accanto a loro e cambia tono. Chiede se gli piace l’appartamento. “Lo adoriamo, è bellissimo!” rispondono insieme, sorridendo. Doruk chiede se anche la sua casa è grande. Sarp annuisce. Doruk aggiunge che anche la casa della nonna è grande, ha tre stanze, mentre loro ne hanno solo una. Sarp sorride appena e chiede se, oltre a Ceida e Elise, hanno altri vicini. Doruk risponde di sì, ci sono Arif e lo zio Yusuf. Sarp chiede se gli vogliono bene. “Sì, moltissimo,” dice Nissan. Racconta che Arif è buono, ha una caffetteria, prepara per loro dolci e piatti deliziosi. Poi Nisan ricorda una cosa: un giorno a scuola c’era un evento per i genitori e, siccome la madre non poteva esserci, Arif li accompagnò. Doruk interviene subito: “Quel giorno Nissan ha presentato Arif come suo padre.” Nissan si blocca, gli occhi si riempiono di rabbia, getta i giocattoli a terra e grida: “Non è vero!” Doruk insiste: “Sì, è così, e per quello ci siamo arrabbiati con te quel giorno.” Sarp si alza, si avvicina piano e prova a calmarla. “A volte diciamo cose che non intendiamo davvero, non è un problema.” Doruk corre via e Sarp si inginocchia accanto a Nisan. Le sussurra che lui sarà sempre suo padre, che solo loro sanno quanto si amano. Forse aveva detto quelle parole solo perché gli mancava. Nissan lo guarda, le lacrime le scendono sul viso, e gli dice che avrebbe voluto averlo con sé quel giorno, come gli altri bambini con il loro papà. Sarp si ferma, sente un nodo alla gola. Nissan lo abbraccia forte, e lui la stringe come se avesse paura di perderla di nuovo.
Piril apre la porta della sua stanza per uscire, ma si trova davanti Sarp. Le chiede di parlare subito. Lei richiude la porta dietro di sé, lo guarda negli occhi e chiede cosa succede. Sarp ha in mano un tablet, glielo mostra e chiede perché lo abbia portato lì e lasciato sul divano. Le dice che non vuole che nessuno usi internet in quella casa, né Bahar né i bambini. Se Bahar scoprisse della morte della sua amica, potrebbe andarsene, e lui giura che Piril ha lasciato il tablet apposta. Piril risponde con calma: “Guarda da solo, non c’è nemmeno una scheda SIM. Sono stata prudente come te, non ho nulla da nascondere.” Le ricorda che anche i bambini sono in pericolo se lui se ne dimentica. Sarp resta in silenzio, poi abbassa la voce, le chiede scusa. Prima che lei esca, le chiede anche il telefono, dicendo che vuole evitare qualsiasi rischio di contatto con l’esterno. Piril lo guarda perplessa e gli domanda cosa farebbero se Suat o Munir volessero contattarli. Sarp risponde che lo decideranno più avanti. Se Bahar dovesse chiedere, bisognerà dirle che lì non c’è campo. Piril, senza aggiungere altro, gli consegna il cellulare. Sarp lo prende e lo nasconde nell’armadio tra le coperte.
La sera cala. Atice, Sheida e Yelis sparecchiano in silenzio. I piatti tintinnano piano sul tavolo, mentre la casa si svuota dopo il funerale. Le loro mani si muovono lente, gli sguardi persi, come se anche l’aria fosse diventata troppo pesante da respirare. Sheida torna dalla cucina, gli occhi spenti. Yelis le dice che ha urgentemente bisogno di una tata e che le piacerebbe si occupasse di nuovo di Bora. Così potrebbe distrarsi e tenersi impegnata. Sheida scuote la testa: “Non lo farò, non mi sento in grado di prendermi cura di un bambino.” Il campanello suona. Atice apre la porta. È Enver. Le dice sottovoce che non vuole lasciare Sheida da sola. Le ha chiesto di venire con loro, ma lei non vuole. Enver entra piano, la guarda, poi si avvicina in cucina e le dice che sono davvero preoccupati. “Puoi scegliere di venire con noi a casa o farci restare qui con te.” Sheida sorride appena: “Mi avete spaventata con le parole dette prima, ma non dovete preoccuparvi. Non mi farò del male, non perché la mia vita mi renda felice, ma perché ho un figlio e devo lavorare per mandargli denaro.” Yelis le chiede se preferisce che lei resti con lei. Sheida sorride: “Non serve.” Le accompagna alla porta, porge i cappotti e le dice di non preoccuparsi. “Arif sarà attento a tutto.” Appena la porta si chiude, il sorriso svanisce. Sheida si lascia cadere a terra, le mani tremano, il respiro le manca, le parole le escono rotte. “Sei andata via, Jelit?” Scoppia a piangere.

Intanto, Bahar finisce di mettere il pigiama ai figli, chiede loro di coricarsi, poi va in cucina a sistemare alcune cose, spegne la luce ed esce. Doruk si alza, guarda la sorella e le dice che andrà a dormire con il padre. Nissan risponde che non può, la mamma si arrabbierebbe. Doruk risponde che non gli importa e se ne va. Prima di entrare nella stanza del padre, Doruk sale le scale, si infila nella camera dove dormono Ali e Homer, si avvicina piano, li osserva, ma quando prova a toccare uno dei gemelli, il bambino si sveglia e comincia a piangere. Doruk, spaventato, corre e si rifugia nella stanza di Piril. Piril sta ascoltando musica con il tablet, lo guarda, gli chiede se cerca suo padre. Doruk scuote la testa, gli chiede se può dormire lì. Piril gli sorride e gli dice di sì, invitandolo a salire. Doruk le dà un bacio sulla guancia e si sistema accanto a lei. Le chiede se possono giocare con il tablet. Piril gli mostra un gioco e Doruk, riconoscendolo, le dice che è lo stesso con cui giocava sempre con Jelit. Piril abbassa lo sguardo, sente un nodo al petto, ma gli dice di continuare a giocare.
Al piano di sotto, Sarp tiene in braccio uno dei gemelli, gli parla dolcemente, gli dice che lo ama tantissimo. Nissan scende le scale in silenzio, dall’ingresso lo guarda, gli occhi pieni di lacrime. Sarp si accorge di lei, le dice che il piccolo ha avuto un incubo e le chiede se vuole entrare per dargli un bacio. Nissan scuote la testa e fugge via piangendo. Si chiude nella sua stanza. Sarp la raggiunge, le bussa, le chiede di aprire, ma lei grida che lui non è suo padre, che è il papà di quei bambini e che non lo vuole più. Bahar sale di corsa le scale, le chiede cosa succede. Sarp racconta tutto. Le dice che durante il giorno cerca di ignorare Ali e Homer per concentrarsi su Nisan e Doruk. Bahar lo interrompe: “Non è giusto, anche i gemelli hanno bisogno del loro padre. Devi comportarti normalmente e prenderti cura di tutti e quattro.” Gli spiega che non può nascondere il suo affetto, sarebbe ancora più doloroso. Le promette che parlerà lei con Nisan per aiutarla a capire, poi entra nella stanza e chiede alla figlia dove sia Doruk. Nissan risponde che è andato a dormire con loro come la sera precedente. Bahar la guarda seria, le ricorda che ne avevano già parlato. Nissan è seduta sul letto, lo sguardo basso, le mani che stringono il lembo del pigiama. Bahar si siede accanto a lei, le accarezza i capelli e le parla con voce calma. Le dice che capisce come si sente, che Doruk è solo felice di stare finalmente con suo padre e per questo vuole passare con lui tutto il tempo possibile. Le spiega che poco prima ha parlato con Sarp di Ali, che anche lui si è dispiaciuto e non avrebbe mai voluto ferirla. Si avvicina di più, le prende le mani e le dice che Ali e Umer sono anche loro suoi figli, che li ama quanto ama lei e Doruk e che glielo dimostra ogni giorno. “Il cuore umano è grande,” le dice, “non si divide, ma si moltiplica, e adesso abbiamo due fratellini in più. Cresceranno insieme, si proteggeranno, si vorranno bene.” Bahar ricorda di quando tempo fa aveva disegnato quella grande famiglia chiamandola “il cerchio dell’amore.” Nissan sorride piano: “Sì, lo ricordo.” Bahar la fa sorridere ancora, poi le propone di dormire, ma prima vuole raccontarle un sogno che ha fatto con la zia Eliz. Nel sogno, si trovavano nella serra, vestite in modo buffo. Bahar indossava un elegante vestito nero. Dietro di lei c’era Eliz, che diceva che lo aveva messo solo una volta ed era un peccato lasciarlo chiuso nell’armadio. Camminavano tra le piante quando all’improvviso appariva il padre di Bahar, vestito da giardiniere. Bahar lo vede sorridere e sente il cuore stringersi. Le manca tanto. Non capisce perché sia lì, se è morto. “Lui si avvicina e le porge una rosa bianca. Poi prende una rosa nera e la dà a Eliz dicendo che dovrebbe consegnarla a Bahar perché si abbina al suo vestito. Ma Bahar scuote la testa e allora Eliz dice che la terrà lei. Quando si girano di nuovo, il padre è scomparso. Le due donne escono verso i campi. Inizia a piovere, ma solo sopra Eliz. Lei grida a Bahar di stare attenta, di non bagnarsi, poi corre. Bahar cerca di seguirla, ma non la trova. Sente soltanto la sua voce lontana che le dice di trovarsi in un posto bellissimo insieme a suo padre. Cammina ancora finché, sulla strada, vede la rosa nera caduta sull’asfalto bagnato. Si ferma, la guarda e in quel momento le sembra di sentire la voce di Eliz sussurrare che non può descrivere il posto meraviglioso in cui si trova ora.”
Nissan ascolta in silenzio, poi chiede piano: “Alla mamma non dispiace non aver sognato anche suo padre?” Bahar la guarda e le sorride con dolcezza: “No, anzi, sono felice di averlo rivisto anche solo in sogno. Mi manca tantissimo, ma sapere che è in un posto bello mi consola. E se la zia Eliz ha detto che lì è felice, allora anche lui deve esserlo, ovunque si trovi.” Nissan dice che è stato un bel sogno, ma avrebbe voluto che la zia non avesse lasciato cadere il fiore che teneva in mano. Bahar sorride, le accarezza il viso e le dice che la zia Elit è sempre stata un po’ goffa. Poi le rimbocca le coperte, le dà un bacio sulla fronte e le sussurra che è ora di dormire. La luce si spegne piano, la stanza resta immersa nel silenzio e per un attimo si sente solo il respiro quieto di madre e figlia. Bahar chiude piano la porta della stanza, lasciando Nissan addormentata. Nel corridoio trova Sarp che rientra dal piano di sotto, il viso teso e lo sguardo perso.
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