🔴 Avance Sueños de Libertad, puntata 428: L’addio di Gabriel e l’arrivo di Chloé a Toledo

Una giornata di addii strazianti e arrivi imponenti segna il capitolo 428 di “Sueños de Libertad”, mentre la colonia si prepara ad affrontare un futuro incerto sotto nuove, oscure ombre.

Toledo, 3 novembre. La colonia della Reina si è svegliata questa mattina con un’aria di lutto che nulla ha a che fare con la solita routine. Il sole, insolentemente luminoso, ha illuminato i tetti di una fabbrica che non appartiene più ai suoi storici proprietari, mentre l’odore acre di cenere, reale o metaforico, aleggiava nell’aria, avvolgendo i cuori degli abitanti in un senso di perdita incolmabile. La notizia dell’assorbimento da parte della misteriosa entità francese, Brosart, si è diffusa come un incendio, ma è nelle mura della casa Merino che la tensione raggiunge il suo culmine asfissiante.

La Casa Merino: Il peso di una scelta


Nella penombra della sala da pranzo, Digna Merino, con lo sguardo perso nel vuoto, rigira meccanicamente il caffè nella tazza, il ticchettio della sua cucchiaino contro la ceramica l’unico suono a rompere il silenzio. La sua apprensione è palpabile, un preludio alla tempesta che sta per scatenarsi. Joaquín, in piedi davanti alla finestra, osserva la fabbrica con i pugni serrati e le nocche sbiancate, il volto segnato dal rimorso e dalla disperazione. “Non hai detto nulla per tutta la mattina, figlio,” mormora Digna, più un’osservazione che una domanda.

La risposta di Joaquín è un pugno nello stomaco: “Cosa vuoi che dica, madre? Che ho rovinato tutto? Che ho venduto l’eredità di mio padre per trenta monete d’argento? Perché è quello che pensa lui. È quello che pensano tutti.” Le sue parole trasudano il peso schiacciante della colpa, il senso di essere stato ingannato e di aver tradito la memoria paterna. “Hai fatto quello che credevi giusto,” tenta di confortarlo Digna. Ma Joaquín respinge le parole con un secco “No. Ho fatto quello che Brosart voleva che facessi. Sono caduto nella loro trappola come un novellino e ho trascinato la mia famiglia con me.”

L’irruzione di Damián de la Reina nella salita rompe bruscamente il loro dialogo. Non è più il patriarca autorevole, ma un uomo sconfitto, un generale che ha perso la sua guerra. Il suo abito sgualcito, la cravatta storta e il volto pallido e contratto dalla furia e dalla devastazione testimoniano il crollo. I suoi occhi iniettati di sangue si fissano prima su Digna, poi su Joaquín, con un ringhio basso e pericoloso: “Quindi eccovi qui. State contando i vostri guadagni?”


Digna si alza di scatto, rovesciando il caffè, mentre Damián esplode in un ruggito di dolore e tradimento: “Non invocare Dio in questa casa, Digna! Il controllo che avevo, per quanto precario, si è spezzato. Non dopo quello che avete fatto.” Joaquín si interpone tra lo zio e la madre, cercando di stemperare gli animi: “Zio, so che stai male. Lo siamo tutti.”

“Male?” Damián ride, un suono spezzato che non ha nulla di divertente. “Male è la parola che usi, ragazzo. Distrutto, tradito, umiliato. Queste sono le parole. Avete venduto la vostra anima e, di passaggio, la mia.”

La vena sul collo di Joaquín si gonfia mentre urla: “Non avevamo scelta! Brosart ci aveva soffocati. I debiti. L’esplosione. Andrés in ospedale.” Damián alza una mano tremante, pronto a schiaffeggiare, ma si trattiene: “Non osare usare mio figlio per giustificare la tua codardia. Tuo padre, mio fratello, si starà rivoltando nella tomba. Gli ho promesso, gli ho promesso che mi sarei preso cura di voi, che mi sarei preso cura della fabbrica. E voi, come mi ripagate? Consegnandola al primo straniero che vi sorride.”


“Non ci hanno sorriso, zio. Ci hanno minacciato,” replica Joaquín, la voce carica di veleno. “E forse se non fossi stato così cieco dal tuo orgoglio, se ci avessi ascoltato.”

“Orgoglio?” Damián si avvicina, l’odore di alcol e disperazione che emana da lui è opprimente. “Parli di orgoglio quando avete appena messo una corda al collo di ogni lavoratore di questa colonia? Cosa pensi che faranno i francesi? Porteranno bonbon e champagne? Porteranno la ghigliottina, Joaquín? Licenziamenti, tagli. Trasformeranno il nostro sogno in una macchina per fare soldi senza anima.”

“Basta!” Il grido di Joaquín echeggia nella piccola stanza, facendo vibrare i vetri. “Sono stufo dei tuoi rimproveri, stufo del tuo disprezzo. Stufo di essere il Merino inutile da dover tutelare. Sì. Ho commesso un errore. Un errore terribile. Ma sai una cosa, zio? L’ho commesso cercando di salvare qualcosa. E tu, dov’eri tu? A lamentarti nel tuo ufficio, a bere mentre tutto affondava. Almeno io ho fatto fronte.”


Lo sguardo di Damián cambia, la furia lascia il posto a un gelido vuoto. “Hai fatto fronte,” sibila. “Sì, l’hai fatto e hai voltato le spalle alla tua famiglia. Al tuo sangue. Andate via dalla mia vista. Voi due, non voglio più vedervi.” Esce dalla casa, lasciando un silenzio pesante come una lapide. Digna crolla sul divano, mentre Joaquín rimane immobile, il peso delle sue parole come mattoni che costruiscono un muro invalicabile.

La Bottega: Il fallimento e la speranza

Nella bottega, il profumo di banda e gelsomino è una beffa. Carmen riordina flaconi di profumo, mentre Tasio, nella retrobottega, si tormenta: “Non dovevo farlo, Carmen. Non dovevo votare a favore.” Carmen lo conforta: “Ti hanno messo sotto pressione. Ti hanno ingannato.”


Ma Tasio non si dà pace: “Mio padre. Si fidava di me. Mi ha dato il suo voto di fiducia, e io… ho permesso questo. Ho fallito con la mia famiglia. Non si fiderà più di me.” Carmen lo guarda dritto negli occhi: “Non è vero. Tuo padre ti vuole bene. Sa che hai lottato. Non è colpa tua, è di Brosart.”

“E cosa importa di chi sia la colpa?” replica Tasio, la voce rotta. “Il risultato è lo stesso. Siamo in mano agli estranei. Cosa dirò a mio padre stasera? ‘Congratulazioni, papà. Tuo figlio, il genio, ha appena regalato l’azienda.'”

“Gli dirai la verità che ti duole tanto quanto lui,” risponde Carmen con fermezza. “Che ti senti un idiota, ma che sei ancora qui e che lotterai. Perché è quello che fai, Tasio. Lotta.” Il dispiacere negli occhi di Tasio si attenua leggermente. “Non so cosa farei senza di te, Carmen.”


“Lo sai,” sorride lei. “Ti rialzeresti e continueresti. Ora va’, lavati la faccia. Abbiamo una bottega da mandare avanti, anche se è la fine del mondo.” Tasio annuisce, ma l’ombra della fiducia perduta grava ancora su di lui.

La Casa Grande: Un nuovo inizio da zero

Nella casa grande, l’atmosfera è quella di una convalescenza fragile. Luz Borrey firma le dimissioni di Begoña: “Fisicamente sei recuperata, ma l’anima ha bisogno di tempo.” Begoña, ancora appesantita dalle notizie della fabbrica, si sente inutile. “Cosa dovrei fare? Starmene seduta mentre il mondo crolla?”


Luz la guarda intensamente: “Forse abbiamo bisogno di qualcosa di nostro, qualcosa che Brosart non possa toccare.” E le rivela l’idea nata da una conversazione con Gaspar: una cooperativa. “Un piccolo business, partire dal basso. Noi, i lavoratori, mettere i nostri soldi, fabbricare l’unguento, venderlo, essere i nostri capi.”

Un sorriso genuino illumina il volto di Begoña. L’idea di qualcosa di nuovo, di pulito, di da costruire con le proprie mani, è un balsamo inaspettato. “È una follia,” dice Luz, ma è una follia che sentono necessaria. “È la nostra follia, e credo che ora più che mai ne abbiamo bisogno.” Begoña annuisce con entusiasmo crescente: “Mi interessa, Luz. Mi interessa tantissimo.”

La Cantina: Scetticismo e Umiliazione


L’entusiasmo di Luz e Gaspar, tuttavia, non è contagioso. Nella cantina, l’aria è densa di fumo e pessimismo. Gaspar e Claudia cercano di vendere la loro idea di cooperativa, ma vengono accolti da scherno e disprezzo. Mateo, un operaio corpulento, li deride: “Sei pazzo, Gaspar? Investire con i francesi alle porte? Tengo i miei soldi per quando ci cacceranno tutti a calci.”

Claudia tenta debolmente: “Ma questo è indipendente dalla fabbrica.” Chema, dal bancone, li umilia ulteriormente: “Bravi imprenditori. L’unguento miracoloso della dottoressa. Cosa sarà la prossima cosa? Acqua santa della dottoressa per curare la disoccupazione?”

Gaspar, rosso di vergogna e rabbia, afferra Claudia per il braccio: “Andiamocene, qui non c’è niente da fare.” Lasciano la cantina, inseguiti dalle risate amare, la loro piccola speranza di cooperativa sembra soffocata prima ancora di nascere.


La Bottega e l’Ospedale: Incontri e Verità Pesanti

Nella bottega, David, il fotografo, cerca un momento di normalità, un profumo che sa di casa e stabilità. “Che cosa ci fai qui?” domanda Carmen, osservando l’uomo sotto la facciata bohémien, un uomo che anela alla connessione.

Mentre Marta e Andrés si incrociano nei corridoi dell’ospedale, l’aria è carica di non detti. “Mio padre non c’è,” dice Andrés a Marta, riferendosi a Damián. “Sta affrontando i suoi demoni.” Proprio in quel momento, Tasio irrompe, annunciano la notizia ufficiale: Brosart ha preso il controllo totale. Un martello colpisce la speranza che ancora resisteva.


Il Laboratorio: Il Dolore dell’Artista

Nel laboratorio, Luis guarda le sue formule come se fossero necrologi. Il suo santuario è profanato. Luz lo trova immobile, il volto spento: “Che senso ha tutto questo ora?” chiede Luis, la sua voce un sussurro amaro. “Questo lavoro, questa alchimia. Sarò ancora il profumiere. Il migliore.”

“Il migliore per chi?” chiede Luz. “Per loro,” replica lui con amarezza. “A loro non importa l’arte, gli importano i margini. La produzione di massa.” Temendo che gli facciano sostituire il prezioso assoluto di gelsomino con un composto chimico a basso costo, Luis è convinto che lo trasformeranno in un burattino da fiera, costretto a creare fragranze senza anima. Luz lo abbraccia, promettendo di lottare. Ma Luis è rassegnato: “È tardi per lottare, amore mio. Abbiamo già perso.”


La Casa dei Merino: L’ombra del passato

Nella casa grande, Marta, rifugiata nel suo studio, scrive febbrile nel suo diario. La confessione di Digna sulla morte di Eladio è una bomba. “Ha mentito. Ci ha mentito a tutti.” Il telefono squilla, improvvisamente, facendo sussultare Marta e rovesciando l’inchiostro sulle pagine. Un terrore irrazionale la pervade: “È lui. È tornato.”

Con mano tremante, risponde: “Diga.” Si sente solo il crepitio della linea, o forse una respirazione. “Chi è? Eladio? Sei tu?” Un click, poi il tono di linea morta. Marta riattacca, pallida e tremante.


Arriva Pelayo, allarmato dal suo stato. Marta, isterica, confessa la confessione di Digna, la menzogna, l’odio verso la donna che ha usurpato il posto di sua madre. Pelayo la calma, ma Marta ha un’altra visione, un ricordo traumatico della casa nei monti, di Santiago, della pistola, del colpo. “Io pure l’ho fatto,” sussurra, le lacrime che scorrono. “Anch’io ho ucciso per difendermi.”

Pelayo la abbraccia forte: “Non sei un’assassina, Marta, e lei neanche. Quello che avete fatto è sopravvivere. È paura. È legittima difesa.” Le dice che devono parlare, che quel segreto le sta divorando vive.

L’Ospedale: Riconciliazione Forzata e Partenze


In ospedale, Damián va a trovare Andrés. Il sollievo nel vederlo vivo è immenso. Ma quando Digna e Joaquín appaiono con un mazzo di fiori, la rabbia di Damián ritorna. “Guardate cosa avete fatto,” sibila. “Mentre mio figlio giace qui, i predatori si mangiano ciò che resta della nostra eredità.”

“Basta, zio,” dice Joaquín. “Non davanti ad Andrés.” “E quando sarà il momento, Joaquín? Nel funerale dell’azienda o nel mio?” chiede Damián, mentre Andrés, con voce tesa, chiede loro di tacere. Damián li caccia via, con profondo disgusto. “Non meritate di stare nella stessa stanza con lui.”

Intanto, Gabriel de la Reina chiude la sua valigia. Ha deciso di impugnare l’acquisto di Brosart. “Non possono farla franca così facilmente,” dice a Begoña, con un sorriso che non convince. “Fidati di me, Begoña. Non sono come mio fratello o mio padre. So come giocare il gioco di questi francesi.” Ma Begoña, nel vederlo partire, percepisce la fuga, non il salvataggio. La sospetto che il disastro Brosart sia un piano meticolosamente eseguito inizia a farsi strada.


La Stazione di Toledo: La Conquistatrice Arriva

Mentre l’auto di Gabriel si allontana, un altro treno frena alla stazione di Toledo. Il sole cala, tingendo il cielo di rosso. Dal vagone di prima classe scende una donna alta, elegante, dal taglio impeccabile. Si toglie gli occhiali da sole e osserva la silhouette della città. Non è una turista, è una conquistatrice. “Signorina Brosart, Chloé Brosart,” dice un facchino. Lei annuisce senza sorridere. “Il suo autista l’aspetta. Benvenuta a Toledo.”

Il gioco è appena cambiato. La vera acquisizione, quella condotta con pugno di ferro e non con contratti dubbi, è appena iniziata. Chloé Brosart è giunta a Toledo, e le sue intenzioni promettono di riscrivere le regole di “Sueños de Libertad”. L’ombra di Brosart si fa ancora più minacciosa, e il futuro della colonia è più incerto che mai.