🔴 ‘Valle Salvaje’ capitolo 279: Irene e Leonardo: un matrimonio forzato dalla paura
Il sipario si alza su un nuovo, sconvolgente capitolo di “Valle Salvaje”, dove le trame si stringono e le vite dei nostri protagonisti oscillano sull’orlo del baratro. Il capitolo 279 promette una valanga di emozioni intense e decisioni disperate, con al centro del vortice la tragica unione tra Irene e Leonardo, sigillata non dall’amore, ma dal gelido abbraccio della paura. Le anticipazioni di questo episodio sono un pugno nello stomaco, un presagio di tempi oscuri che incombono sulla valle.
Irene, una prigioniera tra il dovere e l’amore spezzato.
La fragile serenità di Irene Gálvez de Aguirre si frantuma sotto il peso insopportabile delle minacce del suo autoritario padre, Don Hernando. La giovane donna si ritrova in un angolo, soffocata da un ricatto che mina le fondamenta stesse della sua famiglia. Per scongiurare una catastrofe, per proteggere coloro che ama da conseguenze devastanti, Irene è costretta a pronunciare un “sì” che le suona come una condanna a morte. Il suo destino è legato indissolubilmente a quello di Leonardo de Guzmán, un uomo che non ama, un uomo che le incute timore. Una cerimonia nuziale che si preannuncia come un vero e proprio funerale dell’anima, un sacrificio sull’altare dell’onore familiare.

Leonardo: la fuga sognata, il pericolo imminente.
Mentre Irene si vede legata da catene invisibili, Leonardo de Guzmán nutre ancora la vana speranza di una fuga. Il suo cuore batte all’unisono con quello di Bárbara, e la loro passione segreta è una scintilla di ribellione contro le oscure macchinazioni che li circondano. Leonardo pianifica di fuggire con Bárbara prima che sia troppo tardi, prima che le ombre si allunghino definitivamente su di loro. Ma il destino, con la sua crudele ironia, ha in serbo un colpo di scena che metterà in pericolo le loro stesse vite, un imprevisto che potrebbe spegnere per sempre la fiamma della loro speranza.
La Casa Grande: orgoglio ferito e servitù in ginocchio.

Nel frattempo, tra le austere mura della “Casa Grande”, la tensione rimane palpabile. Mercedes, con il cuore appesantito dalle recenti tragedie, tenta di tessere un fragile filo di pace con Victoria Salcedo. Un tentativo nobile, ma destinato a scontrarsi con l’implacabile orgoglio di Victoria. Incapace di controllare la furia che ribolle dentro di lei, le sue ire si scaricano con brutale violenza sui servi innocenti. Un episodio rivelatore della sua natura spietata e del suo bisogno di sfogare la propria frustrazione sui più deboli. L’umiliazione patita da una giovane cameriera, licenziata senza un reale motivo se non quello di placare l’ira di Victoria, dipinge un quadro agghiacciante della sua tirannia.
Intrighi, tradimenti e il destino segnato.
Il prossimo capitolo di “Valle Salvaje” si prospetta come un crogiolo di alleanze precarie, ricatti sussurrati e segreti inconfessabili. La notte che si avvicina promette di essere funesta, marchiata da un furto audace, una tradizione inaspettata e un’assenza strategica che altererà per sempre il corso degli eventi per tutti gli abitanti della valle.

Le domande che attanagliano gli spettatori:
Fino a dove si spingerà Irene nella sua disperata lotta per proteggere i suoi cari? Quali saranno le conseguenze inimmaginabili quando l’amore, quello vero, si troverà faccia a faccia con il terrore più profondo? E Leonardo, riuscirà a sfuggire alla morsa di una famiglia che sembra volerlo ridurre a un semplice pedone?
Un’atmosfera carica di presagi.

L’aria nella Casa Grande è densa, quasi irrespirabile, intrisa della tensione della vigilia. Un miasma invisibile ma tangibile si attacca ai pesanti tendaggi di velluto e al legno antico e massiccio degli arredi secolari.
Adriana, pallida come un giglio appena reciso, riposa finalmente con gli occhi chiusi nella sua alcova. Lo svenimento l’ha lasciata esausta, un guscio fragile svuotato di ogni forza, ma il medico assicura che il suo cuore, seppur agitato dallo shock, continua a battere con fermezza. Al suo fianco, vegliando il suo sonno con una devozione che rasenta la ferocia, si trova José Luis. Non si è mosso da lì per ore, osservando il dolce ritmo del suo respiro. Ogni volta che i suoi occhi si spostano verso la porta, la sua mascella si contrae fino a causargli dolore. Nella sua mente, un’unica immagine brucia con la furia del ferro rovente: il volto impavido e freddo di Victoria Salcedo mentre Adriana si accasciava. Non ha bisogno di prove o confessioni. Conosce la malvagità di Victoria, l’ha respirata e patita. Sa che le sue parole, affilate come pugnali, sono state la causa diretta del collasso di Adriana. L’impotenza è un veleno che gli scorre nelle vene, un fuoco lento che lo consuma dall’interno. A che serve possedere tutto ciò, ostentare un titolo e un potere che altri bramano, se non si riesce a proteggere la donna che si ama dai serpenti che nidificano sotto il proprio tetto?
La furia di Victoria: un vulcano in eruzione.

Giù, nel grande salone, Victoria non prova il minimo rimorso. La colpa è una moneta svalutata nel suo mondo, una debolezza a cui non può permettersi di cedere. La sua ira, tuttavia, è un vulcano attivo che necessita di uno sfogo. Appreso, dal mormorio di due cameriere terrorizzate, che Isabel, quella adveniente con pretese di santità, ha avuto l’ardire di consigliare a Martín di abbandonare la valle, sente il sangue ribollirle nelle tempie. Martín, il suo pedone, il suo strumento, ora quella donnetta osa volerlo strapparle. Con passi rapidi e decisi, che risuonano come sentenze di morte sul marmo levigato, irrompe nella zona di servizio. Il suo sguardo spazia sulla cucina, dove i servi si affannano nelle loro mansioni mattutine, e il silenzio cade come una ghigliottina.
“Chi di voi stava bisbigliando sulla signora Isabel e Martín?” La sua voce è un sibilo gelido, ogni parola una frustata. Due giovani cameriere si ritraggono, i volti smorti. “Signora, noi solo…” “Silenzio!” tuona Victoria, colpendo il tavolo di quercia con il palmo della mano. La stoviglieria trema. “In questa casa si lavora, non si trama. Siete un branco di inutili pettegole. E tu?” dice, indicando una di loro, la più giovane e timorosa. “Raccogli le tue cose. Non voglio più rivedere la tua stupida faccia nella mia vita. Sei licenziata.” La ragazza soffoca un singhiozzo mentre le altre abbassano lo sguardo, terrorizzate. Victoria assapora la loro paura. È un piccolo balsamo per il suo orgoglio ferito, un’infima compensazione per l’umiliazione che sente ribollire dentro.
Leonardo e Bárbara: l’amore e la realtà in conflitto.

Lontano dal veleno che trasuda dalla Casa Grande, Leonardo de Guzmán cerca Bárbara con l’urgenza di un uomo braccato. La trova nel piccolo giardino sul retro della sua casa, intenta a curare delle rose che sembrano fragili e belle quanto lei. Il sole del mattino filtra tra le foglie, disegnando schemi di luce e ombra sul suo volto pensieroso.
“Bárbara, dobbiamo andare,” dice lui senza preamboli, la voce un sussurro pressante. Le afferra le mani con forza, e lei avverte il tremore che lo scuote. “Ora, prima che sia troppo tardi.” Bárbara alza lo sguardo. I suoi occhi, di un profondo color miele, riflettono una calma che contrasta violentemente con la disperazione di Leonardo. Ritira le mani con dolcezza, un gesto che a lui sembra una dolorosa manata. “Leonardo, ne abbiamo già parlato,” risponde lei. Il suo tono è misurato, quasi materno. “Non possiamo fuggire come ladri nella notte. Dove andremo? Con cosa vivremo? È una follia.”
“La follia è restare qui,” replica lui, passandosi le mani tra i capelli con disperazione. “Mio padre, Victoria, non capisci il pericolo che corriamo. Credono che io sia debole. Un burattino che possono manovrare a loro piacimento. Se ce ne andiamo, se scompaiono, dimostreremo che si sbagliano. Potremo ricominciare da capo in un altro luogo dove nessuno ci conosce e i nostri nomi non significano nulla. Un luogo dove siamo solo tu e io.” La visione è seducente. Per un istante, Bárbara si permette di sognarla. Una vita semplice, lontana dalle intrighi, dagli odi familiari, dal peso dei cognomi. Ma la realtà è un’ancora che la tiene saldamente legata a quella valle. “Non essere infantile, Leonardo,” dice lei, e la durezza nella sua voce lo ferisce profondamente. “La fuga non è una soluzione, è viltà. E io non sono una codarda. Devi affrontare tuo padre, Victoria. Devi reclamare ciò che è tuo, il tuo posto. Solo allora potremo stare insieme senza doverci nascondere.”

“E nel frattempo, nel frattempo, cosa? Bárbara, devo sedermi ad aspettare che decidano il mio destino al posto mio. Mio padre mi fa pressione. Irene.” “Dimentica. Irene,” la interrompe lei con un lampo di gelosia negli occhi. “È solo un altro pezzo sulla sua scacchiera. Quella importante qui sono io, e ti dico di restare. Lotta, e io lotterò al tuo fianco. Ma non fuggirò.” Ancora una volta, come tante altre, Leonardo si sente disarmato davanti alla sua ferrea volontà. La sua passione per lei è un misto di adorazione e frustrazione. La ama per la sua forza, ma in momenti come quello odia quella stessa forza che gli impedisce di proteggerla come credeva dovesse fare, portandola lontano da tutto e da tutti. Sconfitto, annuisce in silenzio, sentendo la corda che gli stringe il collo stringersi un po’ di più.
Il patto di pace: un fragile respiro di speranza.
Di ritorno alla Casa Grande, l’arrivo di una carrozza annuncia una visita inaspettata. José Luis, sceso a prendere un bicchiere d’acqua, vede con sorpresa Mercedes discendere da essa, eretta ed elegante, con un’espressione di serena determinazione sul volto. “Mercedes, cosa ci fai qui?” chiede lui, avvicinandosi per riceverla. “Sono venuta a vedere Victoria,” risponde lei. La sua voce ferma non ammette repliche. “È ora di mettere fine a questa guerra insensata, José Luis. Per il bene di tutti.” Lui la guarda con un misto di ammirazione e scetticismo. Ammira il suo coraggio, la sua intelligenza, la sua instancabile ricerca della pace, ma conosce Victoria. Tentare di ragionare con lei è come cercare di spegnere un incendio con la benzina. “È inutile, Mercedes. Non ti ascolterà. Il suo cuore è pieno di odio.”

“Forse,” concede lei, “ma in questo momento la sua posizione è più debole di quanto creda, e lei lo sa. La situazione con il Duca non le permette di avere altri fronti aperti.” Mercedes gli dedica uno sguardo significativo. “Ecco perché sono venuta, per offrirle una tregua. Una pace sigillata tra le nostre case.” Insieme salgono in salotto, dove Victoria li attende. Vedendoli entrare, il suo volto si contrae in una smorfia di disprezzo. “Ma guarda, guarda, la coppia di salvatori,” dice con sarcasmo. “A cosa devo il dubbio onore della vostra visita? Siete venuti a godervi la situazione di Adriana?”
“Siamo venuti a proporti la pace, Victoria,” dice Mercedes, ignorando la provocazione. La sua calma è uno scudo impenetrabile. Si siede di fronte a lei, adottando una postura di parità, e stende una mano sul tavolo che le separa. “Un patto, un accordo affinché le nostre famiglie smettano di distruggersi a vicenda. I de Guzmán, i Salcedo, i Gálvez de Aguirre. Tutti abbiamo perso troppo. È ora di fermare questa emorragia.” La proposta rimane sospesa nell’aria, carica di storia, di rancore e di una fragile speranza. José Luis osserva la scena in silenzio, trattenendo il respiro. Vede la tempesta scatenarsi negli occhi di Victoria, l’orgoglio ferito lottare contro il calcolo freddo e pragmatico. Sa che Mercedes ha ragione. Victoria è alle strette. Rifiutare quel patto ora, con l’ombra del Duca che incombe su di lei, sarebbe un suicidio politico e sociale. L’umiliazione di dover accettare l’aiuto dei suoi nemici è immensa, ma la paura delle conseguenze di un rifiuto è ancora maggiore.
Victoria distoglie lo sguardo dalla mano tesa di Mercedes, un gesto di profondo disprezzo. Ma le sue parole successive sono una capitolazione. “Va bene,” gracida tra i denti, la parola che le graffia la gola uscendo. “Accetto, ma sia chiaro: non lo faccio per voi, lo faccio per me.” Il sollievo che prova José Luis è immenso, sebbene sappia che quella pace è fragile come il vetro. È un primo passo, uno spiraglio di luce in un’oscurità che era sembrata eterna.

La disperazione di Alejo e la tela di bugie di Luisa.
Tuttavia, non tutti condividono quel precario ottimismo. Nella “Casa Piccola”, l’ambiente è tetro, la dispensa quasi vuota e il mormorio di preoccupazione cresce tra i lavoratori. Alejo, il volto solcato dalla preoccupazione, esamina gli ultimi sacchi di farina con un gesto di impotenza. La notizia del patto, portata da un messaggero di Mercedes, non fa che aumentare il suo scetticismo. “Un patto con i Salcedo,” dice con amarezza quando Mercedes torna e gli spiega la situazione. “E dovremmo fidarci della parola di quella vipera. Mercedes, per favore, non essere ingenua. Appena potrà, ci conficcherà un pugnale alle spalle.”
“Non sono ingenua, Alejo,” replica lei con pazienza. “So perfettamente chi è Victoria, ma ora questo accordo ci avvantaggia. José Luis mi ha dato la sua parola che ci aiuterà a rifornire la Casa Piccola. Il suo supporto è la nostra migliore carta.” “Il supporto di un uomo che condivide il tetto con il nostro carnefice,” mormora Alejo, incapace di scrollarsi di dosso la diffidenza. Il suo cuore, inoltre, è ferito da un’altra causa, una più personale e dolorosa. Più tardi trova Luisa nel cortile, lo sguardo perso all’orizzonte. La tensione tra loro è un abisso che si approfondisce ogni giorno di più. “Luisa,” dice lui, la voce più aspra di quanto intendesse. “Dobbiamo parlare.” Lei sussulta come se fosse stata svegliata da un brutto sogno. I suoi occhi riflettono una colpevolezza che non fa che accendere il dolore di Alejo.

“Alejo, io non…” “Lasciami parlare a me,” la interrompe lui. “Ti ho vista con Tomás. Ho visto come ti guarda. Come gli parli. Non sono cieco, Luisa, e non sono stupido. Cosa c’è tra voi?” “Non c’è niente,” mente lei, ma la sua voce trema, tradendola. “Tomás è solo un amico. Mi sta aiutando.” “Aiutando? Aiutando cosa? A distruggere quel poco che ci restava?” La voce di Alejo si spezza. “Mi fidavo di te, Luisa. Ti ho aperto il mio cuore. Un cuore già infranto in mille pezzi. E tu l’hai calpestato, vero?” Singhiozza lei, le lacrime che sgorgano dagli occhi. “Io ti voglio bene, Alejo. Veramente ti voglio bene, ma è tutto così complicato.” “L’unica cosa complicata qui è la rete di bugie che stai tessendo,” sentenzia lui con una freddezza che la lascia gelata. “Non so più cosa credere di ciò che esce dalla tua bocca. La ferita che hai aperto, non so se un giorno potrà rimarginarsi.” Si volta e se ne va, lasciandola sola con le sue lacrime e la sua colpa. E la colpa è una bestia pesante, perché sa che Alejo ha ragione. Non solo gli sta mentendo sui suoi sentimenti, ma si è resa complice dei piani oscuri di Tomás.
Il matrimonio forzato: il peso del dovere su Irene.
Nel frattempo, la pressione su Irene Gálvez de Aguirre ha raggiunto un punto insostenibile. Suo padre, Don Hernando, l’ha convocata nel suo studio, un luogo che da sempre le infondeva un timore reverenziale. L’aria odorava di cuoio vecchio, di tabacco rancido e di autorità incondizionata. “Irene, siediti,” ordina lui senza alzare lo sguardo dai fogli che ha sul tavolo. Il suo tono non lascia spazio alla disobbedienza. Lei obbedisce, sentendo le mani iniziare a sudare. Il silenzio si allunga, pesante e minaccioso. Finalmente, Don Hernando alza la testa e i suoi occhi, freddi come l’acciaio, si fissano in quelli della figlia.

“Sono stato informato che Bárbara continua a vedersi con Leonardo de Guzmán,” dice. La sua voce è un sussurro pericoloso. “Ti ho chiesto, ti ho ordinato di intervenire, di convincerla ad allontanarsi da quell’uomo.” “L’ho fatto, padre. Ho parlato con lei, ma Bárbara è ostinata, non mi ascolta. Dice che lo ama.” “L’amore,” sputa Don Hernando con disprezzo. “L’amore è un lusso per contadini e poeti, non per noi. Noi abbiamo un cognome, un onore da mantenere. Non capisci forse? I de Guzmán non perdonano, Irene, non perdonano un affronto come questo. Se quella relazione continua, non sarà solo Bárbara a pagarne le conseguenze. Tutta la nostra famiglia sarà in pericolo. La nostra reputazione, i nostri affari, tutto ciò per cui ho lottato per tutta la mia vita potrebbe andare in rovina per il capriccio di una stupida bambina.”
“Cosa vuoi che faccia, padre? Non posso obbligarla.” “Sì che puoi!” ruggisce lui, alzandosi di scatto. La sua ombra si proietta su di lei, ingigantita e minacciosa. “Hai un modo per fermare tutto questo, un modo per assicurare il nostro futuro e porre fine a questa umiliazione.” Irene lo guarda, il panico che inizia a stringerle la gola. Sa cosa sta per dire. Lo teme da giorni, lo sente incombere su di lei come un rapace. “Leonardo de Guzmán ha chiesto la tua mano in matrimonio,” continua Don Hernando. La sua voce ora è più bassa, ma infinitamente più pericolosa. “La accetterai, vero?” sussurra Irene, l’aria che abbandona i suoi polmoni. “No, padre, ti prego.” “Qualsiasi cosa tranne questo.” “Non lo amo. Ho paura di lui.”
“I tuoi sentimenti non importano!” esclama lui, fuori di sé. “Credi che mi importino le tue paure infantili quando l’onore dei Gálvez de Aguirre è in gioco? Abbiamo già subito un’umiliazione pubblica per colpa tua quando hai rotto il tuo precedente fidanzamento. Non permetterò che accada di nuovo. Non resisteremo a un altro scandalo. Questa volta farai ciò che ti viene ordinato.” Si china su di lei, il volto a pochi centimetri dal suo. Irene può sentire l’odore del tabacco nel suo alito, vedere la determinazione fanatica nei suoi occhi. “Ascoltami bene, Irene. O sposi Leonardo, o considererò che hai tradito la tua famiglia, e le conseguenze saranno terribili per te, per Bárbara, per tutti noi. Ci trascinerai alla rovina. È questo che vuoi? Caricarti di quella colpa per il resto della tua miserabile vita?”

Le lacrime scorrono sulle guance di Irene. Si sente intrappolata in una gabbia senza sbarre, una gabbia fatta di dovere, onore e paura. Guarda suo padre, l’uomo che dovrebbe proteggerla, e vede solo un carceriere. La sua volontà si sgretola, fatta a pezzi sotto il peso di quella minaccia insostenibile. “Va bene,” dice con un filo di voce, la parola un veleno sulle sue labbra. “Lo farò. Accetto.” Don Hernando si raddrizza. Un sorriso di trionfo appena dissimulato gli curva le labbra. “Sapevo che saresti entrata in ragione. Sei una Gálvez de Aguirre. Dopotutto, il dovere prevale sempre.” Esce dallo studio, lasciandola sola, soffocata nella sua disperazione. Il sì che ha appena pronunciato non è un’accettazione, è una sentenza. Una catena perpetua accanto a un uomo che detesta, un sacrificio sull’altare dell’orgoglio di suo padre. Il suo destino è appena stato sigillato e sente il freddo del ferro marchiarle la pelle.
Il piano di Tomás: un’occasione d’oro nell’ombra della celebrazione.
La disperazione consuma anche Matilde. La situazione di suo figlio Martín, intrappolato nelle grinfie di Victoria, la tiene in uno stato di angoscia costante. Vedendo che le sue suppliche non servono a nulla, decide di ricorrere all’unica persona che sembra avere un po’ di potere e compassione: Mercedes. La trova nella Casa Piccola, a supervisionare la distribuzione delle scarse provviste rimaste. “Signora Mercedes,” dice Matilde, la voce tremante e piena di urgenza. “Deve aiutarmi. Il mio Martín, la signora Victoria non lo lascia in pace. Lo usa, lo manipola. Ho paura di ciò che potrebbe costringerlo a fare.”

Mercedes la ascolta con attenzione, il cuore che si stringe di fronte al dolore di quella madre. Prima non avrebbe esitato a intervenire, ad affrontare Victoria direttamente, ma ora le cose erano cambiate. “Matilde, mi dispiace moltissimo,” dice con sincera afflizione. “Comprendo la tua angoscia, ma ho appena firmato un patto di non aggressione con Victoria. Le mie mani sono legate. Un intervento diretto contro di lei ora romperebbe l’accordo e metterebbe in pericolo tutto ciò che abbiamo ottenuto. Sarebbe una dichiarazione di guerra e non siamo nelle condizioni di librarla.”
“Allora non farà niente?” chiede Matilde, la speranza che muore nei suoi occhi. “Lascerà che quella donna distrugga mio figlio?” “Non ho detto questo,” si affretta a chiarire Mercedes. “Ho detto che non posso intervenire direttamente, ma cercherò un altro modo. Ti do la mia parola che non lascerò Martín alla sua sorte. Troverò un modo per aiutarlo senza che Victoria possa accusarci di rompere il patto. Abbi fiducia in me.” Matilde annuisce. Anche se il conforto offerto da quelle parole è scarso, la promessa di un aiuto futuro è un balsamo debole per una ferita che sanguina nel presente.
Mentre la notte cade sulla valle, avvolgendola nel suo manto di ombre e segreti, Tomás vede nell’imminente cena di famiglia a casa dei Gálvez de Aguirre l’opportunità perfetta per eseguire il suo piano. La notizia del fidanzamento tra Irene e Leonardo si è diffusa a macchia d’olio e Don Hernando, esultante, ha organizzato una cena per celebrarlo. Una celebrazione che per Irene è un funerale. Tomás avvicina Luisa vicino alle scuderie. Il suo sorriso è affascinante, ma i suoi occhi brillano di una fredda avidità. “Luisa, amore mio, stasera è la notte,” dice prendendole le mani. “Tutto è preparato. Durante la cena, tutti saranno in sala da pranzo, distratti a celebrare il felice evento. Don Hernando non si staccherà da sua figlia e dal suo futuro genero. È il momento perfetto.”

“Non lo so, Tomás,” esita lei, la paura che le torce le viscere. “È troppo rischioso.” “Non ci scopriranno,” la tranquillizza lui, accarezzandole la guancia. “E tu sei la chiave di tutto. Ho bisogno che tu sia lì, in salotto, vicino alla sala da pranzo. Se qualcuno esce, se sembra che il piano possa andare storto, devi solo creare una distrazione. Fai cadere un vassoio, fingi un mancamento, qualsiasi cosa che mi dia i secondi di cui ho bisogno per sparire. Sei intelligente, saprai cosa fare. E cosa ruberai?” “Non me l’hai mai detto.” “Qualcosa di immenso valore,” risponde lui evasivo. “Qualcosa che ci permetterà di iniziare una nuova vita lontano da qui. Una vita insieme. Luisa, tu e io, non è quello che vuoi?” La bacia, e nel sapore delle sue labbra, Luisa sente un misto di passione e veleno. La promessa di un futuro con lui è l’unica luce che la guida nell’oscurità della sua coscienza. Il ricordo del volto ferito di Alejo la tormenta, ma il potere di seduzione di Tomás è più forte. “Lo farò,” dice infine, sigillando il suo destino con quelle due parole.
La cena: l’inganno e la trappola.
L’ora della cena è arrivata. La tavola nella sala da pranzo dei Gálvez de Aguirre è apparecchiata con un’eleganza funebre. I candelabri d’argento gettano una luce tremolante sulla porcellana fine e sui bicchieri di cristallo. Don Hernando presiede la tavola con un’espressione di soddisfazione che non riesce a nascondere la tensione sottostante. Accanto a lui, Irene sembra una statua di marmo, bella e spezzata. Ha appena assaggiato un boccone, lo sguardo fisso su un punto vuoto del muro. Leonardo, seduto di fronte a lei, cerca di mantenere un’apparenza di normalità, ma i suoi occhi si spostano costantemente verso la porta, come se attendesse un’interruzione che non arriva mai. Tutti i membri importanti della casa e gli affiliati sono lì. L’ambiente è denso, carico di parole non dette e di emozioni represse. È, come Tomás aveva previsto, la distrazione perfetta, ma c’è un dettaglio che nessuno aveva messo in conto. Un pezzo che non era al suo posto in quell’intricato scacchiere. Una persona che per ragioni sconosciute non occupava il suo posto a tavola quella sera.

All’ombra della falsa celebrazione, Luisa scivola per i corridoi silenziosi del piano superiore, il cuore che batte con la forza di un tamburo di guerra. Seguendo le istruzioni di Tomás, si dirige allo studio di Don Hernando, il luogo dove, secondo lui, si custodisce il bottino. La porta è chiusa, ma non a chiave. Tomás deve già essere dentro. Il suo ruolo è di fare la guardia, di essere gli occhi e le orecchie che lui non può avere. Si apposta in un angolo del corridoio, nascosta nell’oscurità, aguzzando l’udito. Il mormorio delle conversazioni dalla sala da pranzo le arriva lontano, distorto. I minuti passano lenti come miele. Il sudore freddo le imperla la fronte. Ogni scricchiolio del legno della casa è una frustata ai suoi nervi. Improvvisamente sente il suono di passi che salgono per la scala principale. Non sono i passi furtivi di un servo, ma l’andatura ferma e decisa di uno dei signori. Il panico si impossessa di lei. Qualcuno sta salendo, scopriranno Tomás. Deve agire. Deve creare la distrazione. Esce dal suo nascondiglio, disposta a fingere un inciampo, a gridare, a fare qualsiasi cosa sia necessaria. Ma girando l’angolo del corridoio, si ferma di colpo. Il suo sangue si gela nelle vene. Di fronte a lei, a pochi metri dalla porta dello studio, si trova Victoria Salcedo. La sua presenza lì è un’anomalia, un’impossibilità. Cosa ci fa nella casa dei Gálvez de Aguirre? Perché non è a cena? Le domande si accavallano nella mente di Luisa, ma vengono spazzate via dallo sguardo di Victoria. Occhi scuri, penetranti, che la analizzano dall’alto in basso con un misto di sorpresa e sospetto.
“Tu,” dice Victoria, la sua voce un sibilo nel silenzio del corridoio. “Cosa diavolo ci fai qui sopra a gironzolare come una ladra?” Luisa apre la bocca per rispondere, per inventare una scusa, ma nessun suono esce. È paralizzata dal terrore. In quello stesso istante, la porta dello studio si apre con un leggero cigolio alle sue spalle. Si ritrova intrappolata davanti allo sguardo accusatorio di Victoria. Dietro, la prova inconfutabile del suo crimine. Il piano è andato in frantumi, il furto, la fuga, il futuro promesso. Tutto svanisce nella più assoluta delle peripezie. Si è imbattuta faccia a faccia con la persona più pericolosa e implacabile della valle, proprio nel momento e nel luogo sbagliati. E nella profondità degli occhi di Victoria, Luisa non vede solo sospetto, ma la certezza di chi ha appena catturato la sua preda.